Gazzetta di Reggio

Tania Pedroni: «Ci siamo fatti guidare dallo sguardo di Ligabue sul mondo»

Sandra Campanini

Intervista alla sceneggiatrice reggiana: «La sfida? Fare emergere l’istinto di morte e il disperato attaccamento alla vita» 

07 marzo 2020
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In questi giorni di chiusura dei cinema nella maggior parte del Nord Italia, vogliamo continuare a parlare di cinema. Oggi lo facciamo intervistando Tania Pedroni, sceneggiatrice reggiana da anni residente a Roma, che ha collaborato con Giorgio Diritti alla sceneggiatura di “Volevo nascondermi”, il film su Antonio Ligabue uscito il 4 marzo dopo che Elio Germano si è aggiudicato a Berlino l’Orso d’argento per l’interpretazione di Ligabue.

Ci potrebbe dire qualcosa sulla genesi del progetto?

«Giorgio Diritti da tempo nutriva curiosità e interesse per Antonio Ligabue e la sua storia di uomo e artista, per la sua vita in salita, di malato, emarginato, diverso che non ha mai smesso di cercare il suo posto nel mondo. Una storia che contiene qualcosa di universale, capace di parlare anche ai nostri tempi. Il soggetto sulla vita di Antonio che aveva scritto con Fredo Valla ha incontrato l’interesse dei produttori Carlo Degli Esposti e Nicola Serra di Palomar che da subito hanno sposato il progetto. I produttori sono entrambi di origine bolognese e questo progetto ha segnato anche l’inizio di una proficua collaborazione con la regione e la città di Reggio in particolare».

Lei da anni collabora con Giorgio Diritti (“Un giorno devi andare”, “L'uomo che verrà”): nel caso di “Volevo nascondermi” come avete proceduto?

«Innanzitutto abbiamo fatto tanta ricerca, soprattutto sul territorio, sui luoghi e la memoria ancora viva. Abbiamo letto tutto quello che era stato prodotto su Antonio Ligabue, incontrato i testimoni, osservato a lungo i suoi quadri, abbiamo cioè cercato di farci un’idea il più profonda e completa possibile di Antonio, anche degli aspetti meno noti o meno chiari della sua vita. Poi abbiamo cercato di capire che tipo di film ci interessasse fare. Ed era chiaro fin da subito che volevamo non tanto o non solo raccontare la vita di Toni, ma cercare di restituire il più possibile il suo stato emotivo, e farci condurre (e condurre lo spettatore) attraverso quello che abbiamo immaginato fosse il suo sguardo sul mondo e le sue emozioni: il senso di estraneità e spaesamento, la fragilità ma anche la determinazione, la solitudine e la paura, il bisogno di essere amato e riconosciuto e la necessità di esprimersi, l’istinto di morte e il disperato, profondo attaccamento alla vita. Quel mondo e quell’immaginario interiore complesso e ricco, spesso tumultuoso, che trovava espressione nei suoi quadri. E questa è stata una delle sfide più complesse e più rischiose nella costruzione del film».

Aveva visto il Ligabue di Nocita con Bucci?

«L’avevo visto da bambina, ma non ricordavo granché. Però sia grazie allo sceneggiato di Nocita che al mio maestro delle elementari che amava molto Ligabue, mi era rimasta una sensazione imprecisa ma potente di questo uomo piccolo e solo, della sua vita ai margini e soprattutto dei suoi quadri così espressivi che avevano molto colpito la mia immaginazione di bambina. Prima di scrivere “Volevo Nascondermi” però non ho voluto rivedere lo sceneggiato, non volevo esserne influenzata. Poi, una volta finita la sceneggiatura, assieme a Giorgio l’abbiamo rivisto per verificare che non ci fossero sovrapposizioni o involontarie copiature. Anche perché nel corso delle ricerche per il film ci siamo resi conto che alcuni degli episodi che ci venivano raccontati non erano frutto di un ricordo diretto ma venivano dallo sceneggiato Tv che era talmente entrato nell’immaginario da sostituire la realtà. E a questo immaginario aveva certamente dato un contributo fondamentale l’interpretazione di Flavio Bucci. La sua scomparsa, pochi giorni prima della presentazione del film a Berlino, è una “strana” sincronia. Ma come ha ripetuto più volte Elio, credo che per un attore straordinario e versatile come è stato Bucci, che ha dato vita a personaggi meravigliosi sia in cinema che in teatro e ha lavorato con grandi maestri come Petri, Monicelli, Mattolini, Missiroli, essere identificato o ricordato solo per il ruolo di Ligabue sia poco generoso e soprattutto ingiusto».

Lei eri a Berlino alla presentazione in concorso del film. Le reazioni del pubblico internazionale?

«Sia all’incontro con la stampa internazionale che alla première con il pubblico il film ha ricevuto un’accoglienza molto calorosa. È stato emozionantissimo! Berlino è davvero un bel festival, si respira un grande amore per il cinema da parte di tutti, gli organizzatori, gli addetti ai lavori, il pubblico di tutte le età e la città intera. E poi mi ha colpito il rispetto e il riconoscimento per il ruolo che ricopro io, lo sceneggiatore, cosa non così frequente dalle nostre parti».

Elio Germano ha ricevuto l'Orso d'argento e il film dopo lo slittamento a causa della chiusura di molte sale, è uscito il 4 marzo. Purtroppo nella nostra città che è stata parte attiva anche nella realizzazione del film (per location, comparse ecc..) il film non ha ancora una data d'uscita. Avete previsto incontri o presentazioni in città e provincia?

«Innanzitutto mi lasci dire quanto sia stata felice per il premio ad Elio, che ha fatto un lavoro straordinario su un personaggio complesso e complicato. Era veramente difficile, la sua interpretazione ha un rigore, una sottigliezza e allo stesso tempo un’intensità incredibili. La prima volta che l’ho visto mi ha così sorpreso e commosso… e mi commuovo ogni volta che rivedo il film. E poi sabato, mentre assistevo alla cerimonia di Berlino, sorridevo all’idea di Toni e del riconoscimento che, attraverso il film, stava ricevendo. Ne sarebbe stato felice, anzi credo che da qualche parte anche lui stesse esultando. Per quanto riguarda l’uscita del film è stata inizialmente sospesa e poi decisa per il 4 marzo nelle regioni dove i cinema sono aperti. In Emilia-Romagna sono ancora in vigore le restrizioni per contrastare la diffusione del Corona virus quindi per ora il film non può andare in sala. Ho letto che i prossimi saranno giorni decisivi per capire se le misure adottate fin qui hanno sortito l’effetto sperato, se così fosse forse sarà possibile un progressivo ritorno alla normalità, che credo sia quello che tutti ci auguriamo e aspettiamo con ansia. E so che il film è molto atteso, qui ancora di più. Questa terra ha dato un contributo fondamentale alla sua realizzazione, la Regione è tra i produttori e Reggio è stata parte attiva e imprescindibile in tutte le fasi della realizzazione del film, dalle ricerche, alla preparazione, alle riprese. Si può dire che questa terra ha letteralmente nutrito il film, con le sue risorse e competenze, con la sua generosità e partecipazione, e anche con i suoi paesaggi e colori e con i corpi e i volti delle persone. E io spero che questa terra, di cui io vado così fiera e di cui mi sento così figlia, possa vedere presto “Volevo nascondermi” e continuare a nutrirlo».

Un periodo critico per la cultura - a causa della chiusura dei cinema e dei teatri - ma forse il pubblico capirà ancora di più (che a causa di questa chiusura forzata) l'importanza della cultura nella vita delle persone. Che pensa?

«Sono tempi difficili e critici per l’intero paese, che da tempo sembra vivere in equilibrio precario e sempre sull’orlo di una crisi di nervi e ora con lo scoppio dell’epidemia di Covid19 (e il paventato rischio di pandemia) conosce una delle crisi più pesanti degli ultimi anni. Molti settori sono a rischio, penso alla tenuta del sistema sanitario nazionale (una delle eccellenze di questo paese, comunque la si pensi), alla prova cui sono chiamate le istituzioni, alla crisi del mondo produttivo nelle regioni più avanzate del paese. E l’industria culturale è una delle più penalizzate. In alcune regioni cinema, teatri e musei sono stati chiusi, in tutto il territorio nazionale si è registrata una pesantissima flessione negli incassi (penso soprattutto a quelli del cinema) e so che molte produzioni di film e serie Tv in programma per le prossime settimane sono sospese perché le assicurazioni non coprono il rischio. Ma credo sempre di più che è il nostro sguardo che fa il mondo e una crisi profonda come questa possa anche essere una grande opportunità. In questi tempi dominati dalla paura, paure reali e paure indotte strumentalmente, paure che quasi sempre fanno emergere solo la nostra impotenza o la nostra rabbia scomposta, credo serva sempre di più pensare, sentire ed esprimere i valori sui quali volgiamo costruire la nostra identità di esseri umani. E in questo la cultura ha un ruolo fondamentale, non solo per la capacità di produrre contenuti nei quali posso specchiarmi, ritrovarmi, innalzarmi, ma anche per la sua capacità di produrre socialità. E ora che ci viene chiesto e imposto di stare separati, soli, forse ci può essere più chiaro il valore e la bellezza del nostro stare insieme. E quando questa crisi finirà e il paese dovrà rimettersi in moto e ricostruire, magari potrebbe farlo anche con una centralità nuova finalmente riconosciuta alla cultura, risorsa imprescindibile, capace di creare sviluppo e ricchezza».

Progetti in vista?

«Sono diversi, e ce n’è uno cui tengo in modo particolare. Nei mesi scorsi ho scritto una serie Tv, anche questa ambientata, non a caso, in Emilia. È quello che in gergo tecnico si definisce “dramedy” cioè una narrazione che mescola elementi del dramma e della commedia ed è un racconto sul nostro tempo. Sia la Tv che la commedia sono terreni nuovi per me e ho molta voglia di cimentarmi e soprattutto di raccontare questa storia. Non ci sono ancora le condizioni produttive, ma spero si concretizzino presto e che questo progetto possa prendere vita». —