Gazzetta di Reggio

lezione di rock 

Viaggio musicale con Gino Castaldo tra chi ha narrato la storia dell’Italia

Adriano Arati
Viaggio musicale con Gino Castaldo tra chi ha narrato la storia dell’Italia

Il giornalista e critico domani sera al Metropolis di Bibbiano «Parleremo di un’era straordinaria, quella dei cantautori» 

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Il momento irripetibile in cui la canzone d’autore era anche la canzone di massa, sulla scia di De André, Guccini, Battiato. Un periodo unico che Gino Castaldo – uno dei più conosciuti giornalisti musicali italiani – racconterà domani sera (ore 21) al Metropolis di Bibbiano, una “Lezione di rock” promossa da Arci, che partendo da Fabrizio De André coinvolgerà i grandi nomi del cantautorato italiano. Il “docente” ha vissuto in prima persona quegli anni, e ha conosciuto tutti i protagonisti. Castaldo è la firma musicale di Repubblica dalla fondazione, negli anni ’70, e una delle principali voci di Radio3, oltre che divulgatore impegnato in tanti percorsi sulla musica di ieri e di oggi. A Bibbiano presenterà «un racconto animato con video e ascolti. Non solo su De André, seguendo la storia di Fabrizio mi allargherò in più momenti. E con lui viene facile, seguendo la sua vita ci si imbatte in grandi personaggi».

Il materiale non manca.

«Parliamo di un periodo straordinario, per certi versi irripetibile, fra la metà degli anni ’70 e la metà degli ’80, un decennio segnato dai vari Guccini, De Gregori, Fossati».

E riesce a metter tutto in uno spettacolo?

«Ci vorrebbero sei giorni, è vero. Il vero sforzo è quello di cercare un filo, un racconto che dia un senso compiuto. La completezza è impossibile, spero di poter far venire fuori l’essenza».

Di fronte potrà avere chi già conosce quelle storie, e chi chiede a lei un affresco.

«A un evento simile può venire chiunque. C’è chi ne sa più di me, un fanatico super appassionato, e chi ne sa poco. Anche se una base minima di solito in serate simili c’è sempre, è vero che esiste una disparità di livello».

Come si supera?

«Questo è un problema accresciuto negli anni. Una volta c’era più ignoranza teorica, oggi le informazioni sono a disposizione di tutti, bastano due clic sul computer».

Cambia anche il suo mestiere?

«Certo. Sino a quindici, vent’anni fa il mio ruolo era anche puramente informativo, oggi si è trasformato in quello di un narratore. Devo essere quello che riesce a mettere insieme le cose e a dare chiavi di lettura che vanno oltre la singola informazione».

Un bel salto?

«Oggi è questo, credo che la mia parte sia quella di scrivere una storia e dare un senso, offrire visioni che io dovrei aver maturato con anni di lavoro e conoscenza».

Dipingere un affresco corale, per certi versi?

«In questo caso sì, provo a ricostruire non solo la storia di Fabrizio ma quel decennio incredibile, a ripensarlo oggi».

Perché incredibile?

«La canzone d’autore era diventata anche la canzone di massa, i dischi di De Gregori, Dalla, Guccini, De André, Battiato, Pino Daniele, Fosssati non erano solamente i dischi migliori che si facevano in Italia ma anche i dischi più venduti».

Una fase unica?

«Io ne ho parlato come di un Rinascimento. C’era tutto. In quei dischi puoi leggere la contemporaneità, perché sono dentro al loro tempo, ma sono anche universali, sono il racconto straordinario dell’Italia di quegli anni».

De André è perfetto in questo senso. Per la parte sociale e quella musicale. È partito come cantautore classico ed è diventato il padre della world music con Creuza de Ma (capolavoro di ricerca che usa una lingua “mediterranea” creata per l’occasione).

«Per assurdo De André ha fatto il percorso totale, dall’esaltazione della parola alla sua negazione. Siamo passati dalle canzoni più classiche, in cui le parole sovrastavano la musica, ad una ricerca più musicale sino a Creuza de Ma, dove capire le parole non serve. Anche questo è il segno distintivo del genio».

Un tema collegato anche a quello delle collaborazioni?

«Sì, un tema su cui si è detto molto. Ma adesso basta spoiler, altrimenti cosa racconto a Bibbiano?». —