Gazzetta di Reggio

La collezione dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia: tre secoli di storia nei sigilli dei notai

Luciano Salsi
La collezione dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia: tre secoli di storia nei sigilli dei notai

La direttrice Paola Meschini: «Ho iniziato a catalogarli nel 2015, raccontano la città e i suoi costumi»

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REGGIO EMILIA. Reggio può andare fiera di una ricca collezione, pressoché unica nel suo genere, che ha già iniziato a richiamare l’attenzione degli studiosi italiani. Si tratta dei 265 sigilli notarili dei secoli XVII, XVIII e XIX esposti nelle bacheche che arricchiscono il nuovo museo dell’Archivio di Stato allestito nella sede di corso Cairoli.

La loro individuazione, catalogazione e datazione è il frutto di una ricerca condotta dalla direttrice Paola Meschini dall’estate 2015, che si è conclusa l’anno scorso con la presentazione ufficiale e la stesura di un accurato catalogo ora dato alle stampe dall’editrice Antiche Porte. Catalogo che sarà presentato sabato 20 ottobre alle 11 nell’iniziativa a numero chiuso organizzato da Antiche Porte e Gazzetta di Reggio.

L’iniziativa è inserita nelle proposte che la Gazzetta rivolge alla comunità “Noi Gazzetta di Reggio”. Per prenotarsi scrivere a info@anticheporte.it oppure registrarsi attraverso la newsletter della Gazzetta.

Quale fine si è proposta con questo lavoro?

«Volevo fornire uno strumento utile non solo per gli specialisti, ma anche per chi compie studi di altro genere, ad esempio sulla storia delle professioni liberali o delle casate. I sigilli sono documenti storici diversi dalle carte scritte. Come le monete sono fonti storiche indirette che richiedono una diversa specializzazione».

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In cosa consistono questi sigilli?

«Sono le matrici, generalmente di bronzo, usate dai notai per autenticare gli atti con la propria impronta, che costituisce il vero e proprio sigillo ed equivale al timbro che ancor oggi viene impresso su tali documenti. I primi risalgono alla fine del Seicento. In precedenza i sigilli venivano semplicemente disegnati sulle carte».

Come sono pervenuti all’Archivio di Stato?

«In gran parte, 258, provengono dal fondo dell’archivio notarile, dal momento che la legge del 1963 sugli archivi obbliga a versare all’Archivio di Stato la documentazione notarile cento anni dopo che il notaio ha smesso di rogare. Ce ne sono poi uno donato direttamente nel 1929 da don Giovanni Saccani e sei o sette di varia provenienza, da uffici pubblici, opere pie, botteghe o privati».

A quale epoca appartengono?

«Vanno dalla fine del Seicento all’incirca alla metà dell’Ottocento. In tale periodo ogni notaio adottava a piacimento il proprio sigillo. Quelli successivi non hanno interesse, poiché Napoleone ne impose la standardizzazione con solo il nome del notaio sormontato dall’aquila imperiale, poi sostituita dall’aquila estense, dallo scudo sabaudo e, infine, dalla stella della repubblica. Gli ultimi sigilli personali arrivano fino all’età della Restaurazione, poiché fino ad allora continuavano a rogare alcuni notai che avevano avviato la professione prima dell’instaurazione dell’impero napoleonico».

Che cosa rappresentano?

«L’iconografia è varia. Vi sono rappresentati perlopiù lo stemma della propria casata, lo stemma parlante, ad esempio quello del notaio Adeodati, motivi floreali o disegni di animali reali o fantastici con il nome o le semplici iniziali del notaio e scritte come fides che alludono alle qualità della professione. In alto compare sempre una croce, a differenza dei sigilli di età napoleonica e posteriori. Non sempre i figli dei notai mantenevano il sigillo del padre».

Ha avuto difficoltà a mettere insieme questa collezione?

«Le difficoltà non sono mancate. Le matrici non venivano consegnate dall’archivio notarile insieme agli atti. In molti casi, poi, sugli atti non compare il sigillo. Infatti perlopiù i notai lo usavano per autenticare le copie da rilasciare ai clienti, non per quelle rimaste in loro possesso, che non richiedevano l’autenticazione. Sono state faticose, poi, le ricerche volte a identificare il notaio di cui sono riportate nel sigillo solo le iniziali».

Che cosa rappresenta questa collezione per l’Archivio di Stato della nostra città?

«È una grande ricchezza. I sigilli sono oggetti belli e significativi. È probabile che anche gli archivi delle altre città abbiano una quantità di sigilli, ma non mi risulta che altri li abbiano studiati e resi fruibili al pubblico». —