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«Io, a pochi metri da Sinner: vi racconto la sua impresa»

Adriano Arati

	Il maestro reggiano Davide Gallinari col campione Jannik Sinner
Il maestro reggiano Davide Gallinari col campione Jannik Sinner

Albinea: il maestro di tennis reggiano Davide Gallinari era nel box con il coach di Jannik alla finale degli Australian Open

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Albinea Il trionfo di Sinner goduto in prima fila, scommettendo pure coi vertici del tennis italiano.

Ha potuto gustarsi da pochi metri uno dei successi sportivi italiani più importanti del decennio, il maestro di tennis albinetano Davide Gallinari. La vittoria di Jannik Sinner all’Australian Open ha tenuto svegli anche tanti reggiani, pronti a mettere la sveglia per guardare i match nel cuore della notte italiana. E molti tra loro hanno notato con curiosità che, nel box riservato allo staff di Sinner, compariva un volto ben noto nel mondo tennistico di Reggio e dintorni.

Era quello di Davide Gallinari, originario di Albinea, conosciuto maestro di tennis e ora anche di Padel che ha lavorato per decenni tra il Circolo albinetano, il Ce.Re e altre storiche realtà emiliane, a Parma e al Ca’ Marta di Sassuolo. Oltre che nel circolo di padel voluto da Marco Materazzi a Perugia. Da diversi mesi Gallinari si trova in Australia, dove vive la giovane figlia e dove vuol proseguire la sua esperienza professionale, concentrandosi principalmente sul Padel. Da anni, poi, è legato a Simone Vagnozzi, attuale allenatore di Sinner. «Ero già in Australia per stare con mia figlia, e perché credo che qui potrebbe essere il mio futuro come maestro, adesso che ho deciso di proseguire con un cammino autonomo, non legato a una struttura. Conosco da tempo Simone Vagnozzi e lui mi ha fatto avere i biglietti per vedere tutte le partite, compresa la finale a cui ho assistito nel box di Sinner con mia figlia», continua. Una possibilità davvero speciale, che i tanti conoscenti italiani gli hanno ricordato: «non sono sui social, ma solo sul telefono avrò ricevuto almeno 500 messaggi, di amici come di persone che non sentivo da tempo, che mi dicevano di avermi visto alla partita», sorride. Al suo fianco, c’era pure il presidente della federazione tennistica italiana Angelo Biraghi. E con lui ha dato vita a un lungo siparietto: «Lui non sapeva chi fossi, ovviamente, io lo avevo riconosciuto, abbiamo commentato tutte le azioni e nel terzo set, nel game che ha dato il 5-4 a Sinner, abbiamo scommesso. Io ho detto che se teneva il game avrebbe vinto il set, Biraghi non ci credeva. Ho vinto, alla fine abbiamo legato, lui e la moglie sono stati gentilissimi. Non ha potuto offrirmi da bere perché c’erano troppe richieste di interviste, ma mi ha invitato agli Internazionali di Roma, è davvero una persona disponibile», rivela.

La previsione di Gallinari era giusta, e riguardava un momento chiave del match. «Nei primi due set Medvedev non sbagliava nulla. Sinner è stato bravo a tener botta all’inizio del terzo set, quando ha rischiato di perdere ancora il servizio e a quel punto la partita sarebbe finita. Ha resistito, ha rosicchiato qualcosa, ha vinto il game del 5-4 e poi ha fatto il break, e da lì è ripartito, mentre Medvedev ha avuto un piccolo calo fisico», è l’analisi, condita anche da quella serie di aneddoti che soltanto stando a pochi passi dal campo, avrebbe potuto “rubare” come ha fatto il maestro Gallinari, che racconta così la vittoria con rincorsa da parte di Jannik.

«Per fortuna – commenta – che Sinner è altoatesino, ha quello spirito “tedesco” che non lo fa mai mollare, anche quando è giù, quando ha detto a Simone “sono morto” perché non sapeva più cosa fare. Invece ha reagito, anche sulla scorta del consiglio che gli ha dato il suo allenatore («Prova a fare qualcosa di diverso, anche sulla seconda vai dietro – ha detto Vagnozzi a Sinner – proviamo a fare qualcosa di diverso, sto game. Forza, alè»). Parole giuste al momento giusto: Sinner a quel punto è tornato sull’obiettivo e non lo ha più mollato. Medvedev, che forse credeva di avere la vittoria in pugno, ha invece cominciato a vacillare: ha provato in ogni modo a distrarre l’avversario, chiedendo tante pause che l’arbitro gli ha anche rifiutato». l

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