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Il reggiano Kobe Bryant entra nella Hall of Fame

Linda Pigozzi
Kobe Bryant con la figlia Gianna scomparsa con la star dei Lakers in un incidente in elicottero il 26 gennaio 2020
Kobe Bryant con la figlia Gianna scomparsa con la star dei Lakers in un incidente in elicottero il 26 gennaio 2020

Le lacrime della moglie Vanessa alla cerimonia: "Anche ora continui a vincere"

17 maggio 2021
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REGGIO EMILIA. A quasi sedici mesi dalla tragica scomparsa, il reggiano Kobe Bryant è stato inserito tra i membri del Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, la “galleria” che racchiude i più grandi di sempre della pallacanestro mondiale.
Reggiano, perché qui arrivò appena adolescente e vi rimase due anni al seguito del padre Joe, ai tempi – eravamo fra la fine degli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta – giocatore della Pallacanestro Reggiana.
Reggiano perché la città del Tricolore, Kobe, l’ha sempre portata nel cuore, tornando spesso in gran segreto a trovare gli amici d’infanzia con i quali non aveva mai interrotto i rapporti, nonostante una carriera che decollava e la fama che diventava sempre più globale.
«Ce l’hai fatta. Ora sei nella Hall of Fame. Sei un vero campione. Non sei solo un MVP, sei uno dei più grandi di tutti i tempi», le parole pronunciate fra i singhiozzi dalla moglie Vanessa mentre il nome della stella dei Lakers veniva ufficialmente inserito nella galleria dei migliori.
«Sono così orgogliosa di te. Ti amo e ti amerò per sempre, Kobe Bean Bryant».
Così Vanessa ha chiuso lo straziante discorso per commemorare il marito morto a 41 anni in un incidente in elicottero sulle colline di Calabasas, in California, il 26 gennaio 2020 assieme alla figlia Gianna di appena 13 anni e ad altri sei passeggeri e al pilota del velivolo.
Il reggiano Kobe, il “Black Mamba” dalla mentalità vincente, il campione, il lavoratore instancabile, il modello per tanti ragazzi e campioni come Kevin Durant, Derrick Rose, LeBron James, ma anche Roger Federer, Neymar e Serena Williams, il testimonial capace di far schizzare le vendite dello sportswear che sponsorizzava, è quindi entrato formalmente nell’olimpo del basket, dopo che negli anni era entrato nei cuori di milioni e milioni di tifosi che nei cinque continenti ne avevano seguito le entusiasmanti gesta sul campo, per piangerlo poi un maledetto giorno di quasi sedici mesi fa.
Un riconoscimento strameritato, quello conferito postumo a Bryant.
Con i Lakers ha conquistato cinque anelli NBA, con il team nazionale Usa s’è messo al collo due medaglie d’oro olimpiche, a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012. In più è stato convocato per ben 18 volte all’All Star Game e per due volte è risultato il miglior giocatore delle finali.
Primo giocatore di sempre a militare nella stessa squadra NBA per vent’anni, Kobe ha segnato un’epoca del basket. Così come aveva saputo fare il suo mito e modello di sempre, Michael Jordan, che Vanessa Bryant ha voluto accanto a sé nella notte della cerimonia al Mohegan Sun Resort and Casino di Uncasville, in Connecticut.
«L’ho chiamato – ha raccontato – chiedendogli di essere qui con me stasera e lui ha gentilmente accettato. Grazie Michael, Kobe ti ammirava tantissimo».
Jordan ha sorretto e consolato Vanessa che ha trovato parole dolcissime per ricordare il marito scomparso.
«Sono certa che adesso Kobe stia ridendo lassù – ha raccontato fra le lacrime –. È come se potessi vederlo, a braccia conserte, con un grande sorriso, pensando: “Mica male tutto questo, non è una cosa pazzesca?”. Anche oggi, continua a vincere. Le sue statistiche parlano per lui. Kobe era a un livello diverso, non ha mai preso scorciatoie, ha sempre dato tutto, giocando anche quando era infortunato. Ha giocato con la febbre, con le intossicazioni alimentari, con il naso rotto, le dita rotte e imparando a tirare con la mano sinistra; una volta ha perfino segnato due tiri liberi col tendine d’Achille distrutto».
«Un giorno gli chiesi: “Perché non ti fermi anche solo qualche gara invece di continuare a soffrire?”. Lui mi rispose che pensava ai tifosi che avevano messo i soldi da parte per comprare un biglietto e vederlo giocare dal vivo almeno una volta. Kobe non voleva deludere chi aveva risparmiato e fatto sacrifici per vederlo giocare, con la stessa felicità che aveva lui da piccolo».
Gli anni dell’infanzia – vissuta in Italia fra Rieti, Reggio Calabria e Pistoia prima e Reggio Emilia poi – animati dal grandissimo amore per il basket, Kobe stesso li aveva ripercorsi nella lettera d’addio alla pallacanestro scritta nel 2015 per annunciare il suo ritiro e diventata due anni dopo un cortometraggio da Oscar.
Ma non s’è celebrato solo il campione Bryant, la superstar mondiale, l’altra sera sul palco del Mohegan Sun Resort.
Vanessa, alla presenza delle figlie Natalia, Bianca e Capri e dei genitori di Kobe, l’ex biancorosso Joe e Pamela, entrambi estremamente provati, ha raccontato un Kobe più intimo.
Prima di scendere dal palco ha condiviso il ricordo più sentito, perché Kobe prima che uno dei più grandi di sempre del basket mondiale, è stato un grande padre.
«Grazie per aver accompagnato le nostre ragazze a scuola prima di andare all’allenamento, e per eessere andato a riprendere ogni volta che potevi. Grazie per non esserti mai perso un compleanno, una gara di danza, una cerimonia scolastica o una partita che le nostre figlie hanno giocato».
Il Kobe appassionato e gentile che gli amici reggiani hanno visto crescere e che non dimenticheranno mai.