Michele Padovano conquista i trecento del David Lloyd
Sala gremita e tanti applausi per l’ex attaccante della Juventus che ha vissuto per 17 anni un dramma giudiziario prima dell’assoluzione
MODENA. Trecento persone al David Lloyd ad assistere alla presentazione del libro “Tra la Champions e la libertà” di Michele Padovano, pendendo dalle labbra dell’ex Juventus e ascoltando con e attenzione la sua storia di rivincita dopo la drammatica vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto. Per più di un’ora il vincitore della Champions League, accompagnato dall’ex compagno di squadra e grande amico Gianluca Presicci e dal giornalista di Sky Marco Nosotti, ha condiviso con il pubblico gli aneddoti della sua brillante carriera e i periodi più bui del processo.
La lotta e il sostegno
Accusato di traffico di droga ha dovuto aspettare 17 anni prima che la sua innocenza fosse finalmente provata, perdendo però amicizie, soldi e tantissimi anni di spensieratezza. Regalando una serata toccante, Nosotti ha interagito con entrambi gli ex calciatori, mostrando al pubblico il diverso modo in cui, uno dall’interno e uno dall’esterno, hanno vissuto questa terribile esperienza. Sotto gli occhi del general manager Dario Milanin, non sono mancati momenti di commozione, come quando il giornalista ha parlato del sostegno che la famiglia di Padovano non gli ha mai fatto mancare, e quando l’ex Juve ha raccontato del rapporto con suo padre, che per primo gli ha dato la forza di lottare. Tra il pubblico Roberto Bosco, con un passato nel Modena, e Maurizio Neri, che hanno condiviso con Padovano lo spogliatoio a Pisa. Una serata sulla quale hanno scommesso anche i quotidiani emiliani del gruppo Sae, media partner dell’evento.
«Penalizzato dagli uomini»
Ad aprire la presentazione è stato l’intervento di Stefano Gozzi, operation manager del David Lloyd, emozionato per la grande affluenza, e l’assessore allo sport Andrea Bortolamasi, che ha voluto lodare questo tipo di iniziative, sottolineando l’appoggio del Comune. Nosotti ha ringraziato i suoi due amici, così li ha definiti, Presicci e Padovano e ha aggiunto: «Michele ha dato tutto e poi il destino, anzi no gli uomini perché, quando uno sbaglia qualcun altro paga, lo hanno penalizzato. Quel percorso lo ha reso ancora di più una persona preziosa». Presicci è partito dal suo rapporto fraterno con l’ex Juve. «Parlo di Michele dal 1986, quando a Cosenza eravamo due ventenni e da quel momento non ci siamo più lasciati. Le nostre mogli hanno un bellissimo rapporto e da quasi quarant’anni siamo amici. Avere a fianco uno come Michele è un orgoglio. Lui è una persona forte, ti colpisce la durezza apparente, ma è una persona buona e vedi il suo cuore nelle piccole cose».
«Bastavano 17 minuti di buonsenso»
Padovano invece ha prima ripercorso la sua grande carriera. «Io non ho fatto nessun sacrificio perché giocare era quello che facevo da bambino per dieci-dodici ore al giorno per strada. Sono un fortunato perché ho fatto della mia passione un lavoro. Il mio primo gol in Serie A lo segno in Pisa Lecce seconda giornata di campionato. Mister Lucescu a fine primo tempo mi ha sbattuto al muro per spronarmi e da lì la mia carriera è cambiata. Alla Juve era pieno di campioni che facevano la gara in allenamento, ho iniziato a fare come loro e ho vinto molto, per questo ringrazierò sempre la Juve e i miei compagni». Poi, quando ormai si era ritirato è arrivato l’arresto: «Ero a cena con degli amici e verso mezzanotte prendo la macchina, tre auto in borghese mi bloccano e mi ammanettano. Mi portano nel carcere di Cuneo dove rimango in isolamento senza vedere fuori e fare la doccia. La mia colpa: aver prestato dei soldi a un amico e per questo sono stato accusato di essere il capo di un’associazione a delinquere. Per arrivare alla verità ci sono voluti 17 anni, ma sarebbero bastati 17 minuti di buonsenso».
Il caso Bergamini
Tra i temi trattati anche la controversa vicenda giudiziaria di Bergamini, compagno di squadra di Padovano e Presicci a Cosenza. «Non abbiamo mai creduto nella favola del suicidio noi che lo conoscevamo. Qualcuno ha fatto un servizio in cui faceva passare l’idea che io fossi coinvolto nell’omicidio di Bergamini e tutto questo mi ha fatto male perché gli volevo bene come un fratello maggiore. Finalmente si sta arrivando alla verità anche per lui».
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