80 anni fa la liberazione di Reggio Emilia: i partigiani e le truppe alleate entrano in città
Era il pomeriggio del 24 aprile 1945: in quegli ultimi giorni oltre 110 resistenti rimangono uccisi negli scontri conclusivi
Reggio Emilia Reggio liberata dopo l’ultimo sforzo, quello della festa e dell’ultimo sangue. Il 24 aprile 1945, ottant’anni anni esatti fa, la città di Reggio Emilia accoglie le prime avanguardie partigiane e le prime truppe alleate, mentre i fascisti cercano di nascondersi e le squadre tedesche smobilitano verso il Po. La città è libera, il 25 aprile toccherà alle grandi città del Nord, in primis Milano, e la guerra mondiale in Italia finirà. È la Liberazione, sì. Ma non solo dai diciotto mesi dell’occupazione da parte dell’esercito nazista aiutato dai fascisti di Mussolini, italiani che condannarono alla deportazione e a Auschwitz altri italiani; è la fine del ventennio abbondante di dittatura iniziato nell’ottobre 1922 con la marcia su Roma.
Festa e dolore
Ci sarà molto da fare, e per molti versi la ricostruzione non è mai terminata. Ottant’anni fa anni come oggi, però, un giorno per la festa è doveroso. Per la festa e per il dolore, perché in quegli ultimi giorni oltre 110 resistenti rimangono uccisi negli scontri conclusivi. Al 24 aprile 1945, circa metà della provincia reggiana era già stata liberata, la montagna, la collina e la val d’Enza erano in mano ai partigiani e così diversi paesi della Bassa, mentre l’avanzare incessante delle truppe motorizzate britanniche, statunitensi e degli alleati da Est segnava progressivamente la fine dei tentativi tedeschi di difendere quel poco che restava della Linea Gotica. La svolta Il mese di aprile 1945 aveva dato la spallata decisiva. L’appuntamento a primavera dato nel novembre 1944 dal proclama Alexander si realizza nei primi giorni del mese: il 6 aprile il fronte si muove con l’attacco portato dalle truppe britanniche della VIII armata sul fronte del Senio in Romagna, mentre il 14 le truppe americane della V Armata avviano l’attacco alla Linea Gotica nel settore appenninico, sfondandolo il 20. Le truppe dilagano nella pianura raggiungendo la pedemontana e la via Emilia. Il 21 Bologna è liberata dalla VIII Armata, il 22 le truppe americane sono a Modena, mentre altri reparti si dirigono verso il Po per bloccare il transito dei tedeschi in fuga verso nord, consentendo così la liberazione di alcuni centri della Bassa già nella giornata del 23. A Canolo di Correggio una colonna tedesca in fuga spara sulla popolazione scesa in strada a festeggiare il passaggio di reparti alleati, ben nove persone vengono uccise. Ora, tocca davvero a Reggio.
In Appennino le formazioni partigiane sono in stato di allerta già dal 20 aprile, le comunicazioni con gli Alleati sono continue. L’obiettivo strategico decisivo è il controllo della statale 63, rimasta l’unica via di ritirata delle truppe tedesche dal fronte, mentre già da giorni si era avviato lo sfaldamento dei reparti fascisti (Divisione Italia) con la resa di gruppi sempre più numerosi di militari. Il 22 gli statunitensi sono oltre Piazza al Serchio in Lunigiana, mentre i partigiani della 144ª e 145ª Brigata Garibaldi compiono azioni di sabotaggio alla statale 63 cercando di prendere il controllo del Passo del Cerreto. Attaccano anche i presidi tedeschi ancora attivi, e la 26ª Brigata invia suoi distaccamenti a nord nella zona di Felina e Casina. Il 23 aprile inizia la fase finale con scontri continui sulla SS63, in particolare a Cervarezza e Collagna, con reparti tedeschi che cercano, disperatamente, di aprirsi la via verso la pianura; inizia la cattura di prigionieri e di numeroso materiale nemico. Tre partigiani della 145ª muoiono camminando su un campo minato nella zona del passo di Pradarena, mentre nella mattinata Castelnovo Monti è raggiunta dai partigiani che interrompono il transito sulla statale 63. Al tramonto anche Felina è liberata, e in questo modo viene anche bloccato il possibile transito verso Carpineti e Baiso-Viano. All’alba del 24 aprile il Comando Unico comunica il nuovo ordine di operazioni: la discesa verso la pianura e la città. Sono ore di grande confusione. Reparti tedeschi di varia consistenza cercano di filtrare verso nord per attraversare il Po, battendo strade secondarie e cercando di sorprendere i reparti partigiani già attivi proprio a bloccare le vie di comunicazione.
I reparti Usa avanzano metodicamente sulla via Emilia, le truppe brasiliane si muovono in parallelo sulla Pedemontana, i partigiani attaccano o cercano la resa del nemico. Al mattino la statale 63 è già libera fino a Vezzano, mentre forti contingenti tedeschi sono ancora in transito in varie zone a nord della pedemontana, attraversano centri già liberati poche ore prima e impegnano scontri con le formazioni partigiane che sostengono il peso maggiore degli attacchi tedeschi. Ovunque si verificano scontri che richiedono un costo altissimo: oltre 110 partigiani sono uccisi nelle giornate dal 22 al 25 aprile nella liberazione della provincia reggiana. La città è semideserta, le formazioni fasciste sono fuggite già il 22. Nella prima mattina del 24 aprile Reggio è attraversata da tedeschi in ripiegamento verso Parma, i reparti Usa arrivano alla periferia est, a Villa Masone, e installano pezzi di artiglieria per battere oltre la città a ovest. Alle 13 cadono le prime granate. Alla colonna sulla via Emilia si unisce un’analoga forza sulla Pedemontana proveniente da Scandiano. Nel primo pomeriggio il grosso della 26ª Brigata partigiana si attesta nella zona Rivalta-Canali puntando sulla zona di San Pellegrino discendendo lungo quella che oggi è via Tassoni. A Due Maestà agli alleati si unisce anche un gruppo di Fiamme Verdi, altri reparti partigiani puntano a nord per assumere il controllo del Campo Volo. Gli ultimi scontri si svolgono a Rivalta, mentre nel primo pomeriggio si muovono i gruppi della 76ª Sap già presenti in città nella zona operaia e produttiva Gardenia-Lombardini. Sempre in zona San Pellegrino, dove le brigate resistenti si sono ammassate nella loro discesa da Botteghe e Canali, un cecchino uccide i due partigiani “Grappino” e “Timmi” e la staffetta “Mimma”, Maria Montanari. Nelle ore seguenti i partigiani cercano questi franchi tiratori, alcuni vengono trovati e giustiziati, altri imprigionati .
I ricordi
Alle 16, l’ora concordata, i reparti partigiani entrano in città da varie direttrici. Alle 17 i membri del Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale, di Reggio Emilia arrivano in Prefettura, in corso Garibaldi. Prendono possesso della città, che per i cento giorni seguenti verrà amministrata dalle truppe inglesi assieme ai vertici partigiani. Reggio è libera. Tra i ricordi più celebri di quelle date difficili da dimenticare per chi le ha vissute, vi è quella di un sacerdote impegnato contro il fascismo da tempo, don Angelo Cocconcelli, sacerdote a San Pellegrino all’inizio degli anni ’40. È proprio tra le mura di San Pellegrino che si riunisce per la prima volta quello che diventerà il comando del Cln provinciale, è da lì che passeranno il futuro padre costituente Giuseppe Dossetti e il primo sindaco di Reggio Emilia, il comunista Cesare Campioli, rientrato dalla Francia dopo anni di esilio e accolto dall’amico di sempre, il comandante partigiano Paolo Davoli. In “Un nodo di resistenza partigiana: la canonica di S. Pellegrino”, edito sui numeri 10 e 11 della pubblicazione di Istoreco “Ricerche Storiche” del 1969, don Cocconcelli ricostruisce l’arrivo in città e la preparazione di quella che diventerà poi la primissima edizione di Reggio Democratica. «Poi spuntò quel 23 aprile, quando all’alba giunse dalla centrale di Farneta la notizia che reparti corazzati angloamericani avevano attraversato il Secchia. E allora giù a balzelloni e quasi sempre a piedi verso la città (…). E allora avanti fino a Due Maestà, dove erano arrivate le prime camionette americane, contrastate nell’avanzata da un piccolo velo di soldati tedeschi annidati nelle campagne. Passai lo stesso per la strada deserta, ma al Buco del Signore, dove la gente mi accolse in delirio di gioia fui dissuaso dal tornare in parrocchia poiché di là carri armati tedeschi sparavano contro l’artiglieria alleata che da San Maurizio bombardava le truppe tedesche in ritirata oltre la Pieve Modolena. Soltanto verso le quattro del pomeriggio del 24 potei entrare in canonica che era appena stata abbandonata dai tedeschi e ancora una volta razziata. Sembra un sogno ricordare dopo tanti anni quel pomeriggio esaltante: l’entrata in città fra la sparatoria dei franchi tiratori, incurante del pericolo, per andare alla tipografia del Solco Fascista, che aveva sede nello scantinato del palazzo dei Mutilati, già occupata dai partigiani, per far stampare per conto del Comitato di Liberazione il primo manifesto di saluto alla città liberata!». Dopo cinque anni, si riaprono le finestre. E non solo in senso metaforico. La testimonianza arriva dall’onnipresente Giacomina Castagnetti, nell’aprile 1945 nemmeno ventenne ma già navigatissima veterana dell’antifascismo e della lotta partigiana. Aveva vissuto tutto, dai tempi del Soccorso Rosso verso i compagni comunisti e socialisti antifascisti alla gestione, dal 1943 in poi, della casa di latitanza occultata dentro al podere in cui i Castagnetti lavoravano come mezzadri a Castellazzo. «Da quando c’era la guerra, e soprattutto da quando c’erano i bombardamenti e il coprifuoco, avevamo sprangato le finestre delle case, per evitare ulteriori danni. La prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a aprire le nostre finestre di casa. Poi con le mie compagne abbiamo deciso di andare verso Reggio, per capire cosa stesse succedendo», ha ricordato tante volte. Finestre aperte, Reggio liberata. l © RIPRODUZIONE RISERVATA