Gazzetta di Reggio

Reggio

«Nei caseifici aperti il visitatore vive un’esperienza autentica»

Zahira Magnani, Arianna Giorgini e Isha Kumar*
«Nei caseifici aperti il visitatore vive un’esperienza autentica»

Igino Morini racconta cosa amano i turisti delle visite guidate «Viene colto il valore della produzione di Parmigiano Reggiano»

6 MINUTI DI LETTURA





Il racconto della produzione del Parmigiano Reggiano si intreccia con la passione e la dedizione degli allevatori e dei casari, che ogni giorno contribuiscono a preservare una tradizione.

«Il nostro formaggio comincia dalle stalle e dai campi», sottolinea Igino Morini, responsabile della promozione territoriale del Consorzio del Parmigiano Reggiano, che in questa intervista ci ha raccontato prima di tutto cosa significa occuparsi del racconto di questo prodotto unico al mondo.

«Quando accompagno gruppi di turisti o professionisti della distribuzione o della ristorazione all’interno dei caseifici – prosegue Morini – cerco di farli entrare nel mondo della caseificazione, trasmettendo loro la sensazione di che cosa significa produrre Parmigiano Reggiano. L’obiettivo è arricchire la loro esperienza, facendogli capire che questo è un prodotto fatto in modo artigianale e senza additivi, e che ogni caseificio produce un formaggio diverso, in base alla zona, alle stalle e alla gestione degli allevatori. La capacità del casaro di apprezzare e valorizzare queste differenze è fondamentale».

Qual è la parte del processo di produzione che la affascina di più?

«Quello che avviene sulla caldaia, vedere lavorare i casari è incantevole. Oggi osserviamo gesti che sembrano scontati, ma che in realtà sono il risultato di grande esperienza e di un lungo processo di apprendimento. Questo è un lavoro artigianale e i casari sono stati preceduti da altri che hanno trasmesso loro il sapere di questa tradizione. Tuttavia ogni casaro, pur seguendo le tecniche consolidate, sviluppa un’esperienza unica. Anche i latti non sono mai identici: variano in base alle stalle, agli animali e alle scelte degli allevatori che, pur rispettando tutti il disciplinare del Consorzio, possono differire nell’alimentazione e nella gestione del bestiame. Per questo motivo, il casaro deve adattare il suo lavoro alle diverse situazioni. Anche le condizioni climatiche influenzano la qualità del latte: se una giornata è piovosa o ventosa, per esempio, le vacche reagiscono in modo diverso e il casaro deve saperne tener conto, adattando di conseguenza la lavorazione».

Le vacche rosse sono una razza storica di questa zona. Quale impatto ha la loro presenza sull’agricoltura e sull’ecosistema di Reggio Emilia?

«Il fatto che un gruppo di allevatori nel dopoguerra abbia scelto di continuare ad allevare la razza rossa ha avuto un’importanza decisiva, poiché altrimenti questa razza sarebbe stata completamente sostituita da altre non autoctone, con la conseguente perdita di un patrimonio genetico unico. Ma, al di là di questo aspetto genetico, il Consorzio e gli allevatori hanno sviluppato un disciplinare rigoroso che impone l’uso di foraggi verdi durante i mesi primaverili ed estivi. Questo è particolarmente rilevante anche perché viene dato spazio ai prati stabili, che sono ricchi di una grande varietà di specie vegetali. In questo modo, contribuiscono indirettamente a preservare la biodiversità del territorio, mantenendo vive le diverse specie vegetali che rendono più ricchi i foraggi e i fieni utilizzati per l’alimentazione del bestiame».

Il Consorzio adotta pratiche specifiche per garantire il benessere animale e la gestione ecologica delle risorse?

«Il Consorzio si è dotato da diversi anni di un servizio tecnico di produzione primaria che segue la gestione delle stalle e la produzione del latte, non solo per identificare le caratteristiche qualitative idonee per il formaggio, ma anche per aiutare gli allevatori a capire se la gestione della loro stalla è adeguata. Abbiamo seguito criteri oggettivi forniti da un istituto nazionale, sulla base dei quali il nostro gruppo di veterinari ha effettuato una rilevazione della situazione in tutte le stalle per fornire un feedback a ogni singolo allevatore, suggerendo possibili miglioramenti. Questo è fondamentale perché i primi a essere interessati alla salute degli animali sono proprio gli allevatori. Se la vacca sta bene, il latte sarà di qualità, e questa è la premessa affinché il formaggio possa essere trasformato correttamente in Parmigiano Reggiano».

Lei segue i caseifici che ogni anno accolgono numerosi turisti? Che impressione ha? Mostrano reale interesse durante le visite?

«Sì, vediamo sempre un grande interesse da parte dei visitatori. L’esperienza viene vissuta con curiosità ed entusiasmo. Molti visitatori colgono l’importanza di questa occasione e comprendono il valore della produzione del Parmigiano Reggiano. Si tratta di un’opportunità unica per imparare e scoprire questo prodotto. Per noi, è fondamentale che il visitatore non solo osservi, ma viva un’esperienza completa e autentica che lo connetta al prodotto e alla sua storia. Per questo motivo, crediamo sia fondamentale continuare a investire nella divulgazione e nell’organizzazione di visite guidate di qualità. Le visite guidate consentono di apprezzare sia la tradizione sia la l’innovazione, ed è essenziale che il pubblico comprenda appieno il legame con il territorio».

Quali esperienze offerte ai visitatori permettono di comprendere meglio la qualità e le caratteristiche uniche del Parmigiano Reggiano?

«Ai visitatori offriamo un racconto che li aiuta a immergersi e comprendere meglio ciò che stanno osservando. Un’altra parte fondamentale dell’esperienza è l’assaggio finale, che consiste nella degustazione di diverse stagionature di Parmigiano Reggiano. Questo consente di avere una percezione diretta ed esperienziale del prodotto, poiché i visitatori possono provare, sulla base delle proprie percezioni sensoriali, le caratteristiche del formaggio. Inoltre, in questo caseificio si racconta anche la storia della salvezza della razza delle Vacche Rosse e della sua valorizzazione. Gli allevatori hanno compiuto notevoli sforzi per preservare questa razza, sono stati molto bravi nella comunicazione e nel marketing, riuscendo a trasmettere quella che è la sua particolarità. È giusto che il formaggio prodotto con il latte delle Vacche Rosse venga venduto a un prezzo superiore, in quanto queste vacche producono un latte unico. Questo è molto importante per garantire un ritorno economico agli allevatori, perché la sostenibilità economica è essenziale per mantenere in piedi l’attività. Inoltre, questo ha una positiva ricaduta sociale e ambientale non solo per i produttori delle Vacche Rosse ma anche per i produttori di montagna i quali, beneficiando di un vantaggio economico, riescono a tenere aperte le aziende agricole e i caseifici, contribuendo alla preservazione del territorio».

Per concludere, qual è il suo consiglio per chi si avvicina per la prima volta al Parmigiano Reggiano?

«Il consiglio è quello di imparare a degustare il Parmigiano Reggiano, partecipando alle visite, a momenti di degustazione e a corsi di assaggio per scoprire come cambia il formaggio con la stagionatura e apprezzare le caratteristiche sensoriali. È anche fondamentale avere personale appassionato che lavori nei caseifici. L’anno scorso sono stati organizzati 13 concorsi di assaggio, con formaggi giudicati in forma anonima.

Quest’anno, al British Museum di Londra, è stata organizzata la seconda edizione del Casello d’Oro, una manifestazione con i formaggi vincitori dei concorsi, dove una giuria internazionale ha selezionato due formaggi con la migliore struttura e il migliore profilo olfattivo, realizzati da una casara che ha ricevuto un riconoscimento importante. L’attività di degustazione è aperta a tutti – conclude Morini – ed è effettivamente un bellissimo lavoro». 

*Studentesse dell’istituto Motti

© RIPRODUZIONE RISERVATA