«Il calcio femminile? Parità lontana. Servono investimenti e spazio mediatico»
L’intervista alla capitana della Reggiana Marta Baccanti
Quando era piccola, Marta Baccanti, classe 2002, aveva un solo desiderio: quello di giocare a calcio. Oggi i suoi sogni si sono concretizzati: è diventata capitana della Reggiana femminile, che attualmente partecipa al Campionato di Eccellenza. Le abbiamo rivolto alcune domande sulla sua carriera di calciatrice.
Quando e come hai iniziato a giocare? Raccontaci anche il tuo percorso fin qui.
«Tutto è iniziato quando, all’età di sei anni, ho scoperto che mi divertivo molto a giocare a calcio. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta, a differenza di quanto è accaduto ad alcune mie compagne, così mi hanno accompagnata a fare una prova: quel giorno capii che il mio posto, la mia seconda casa, si trovava nel campo. Ho iniziato nell’Arquatese e ci sono rimasta fino a 12 anni, giocando sempre con compagni maschi. Successivamente, mi sono spostata in squadre femminili: ho giocato nella Folgore a Piacenza e, più tardi, nel Vicofertile a Parma, dove ho frequentato il campionato juniores regionale per due anni. Sono passata poi al Parma calcio, con il quale ho vinto due volte il campionato. Durante l’università ho giocato nello Spezia per sei mesi in serie C, per poi passare nell’estate del 2023 alla Reggiana. Questa è per me la seconda stagione, che è stata da poco coronata da un risultato importante: la vittoria della Coppa Italia Dilettanti, un trofeo che mancava in casa Reggiana da alcuni anni».
Quali sono stati gli ostacoli più difficili che hai dovuto affrontare?
«Uno ha riguardato gli spostamenti: inizialmente ero vicina a casa, ma dalla seconda media ho iniziato a muovermi in macchina ed in treno. È stato un sacrificio che ho deciso di compiere perché credevo nel progetto. Un altro problema che ho riscontrato è legato al fatto che per un periodo sono stata l’unica ragazza in un contesto completamente maschile e, a volte, dagli spalti arrivavano commenti negativi e sbagliati, in particolare dai genitori delle squadre avversarie, diretti a me. I miei compagni di squadra, però, mi hanno sempre difesa. Finita la partita mi veniva concesso di utilizzare lo spogliatoio degli arbitri ma spesso per fare la doccia dovevo aspettare che finissero di lavarsi mentre, altre volte, incontravo arbitri gentili che erano disposti ad aspettare e a darmi la precedenza».
Pensi che ci sia ancora molto da fare per raggiungere la parità con il calcio maschile?
«Sì. Il mondo dell’informazione potrebbero favorirla: innanzitutto dovrebbe essere dato più spazio alle notizie sul calcio femminile, mentre, di solito, i media gli riservano scarsa attenzione. Penso inoltre che le società dovrebbero investire di più in questo settore: nel calcio femminile l’unico campionato professionistico è la serie A. Invece, i campionati maschili sono considerati già professionistici dalla serie D. Per questo motivo, oggi una ragazza che vuole intraprendere questa carriera deve sempre avere un piano B per assicurarsi un sostegno economico. Io, infatti, sto per prendere la laurea specialistica in Scienze motorie. Infine, anche l’aspetto culturale può giocare un ruolo importante. Molte società, tra cui la Reggiana Calcio, portano avanti progetti a favore della parità di genere e contro ogni forma di discriminazione. Credo che questo sia fondamentale perché lo sport può servire a trasmettere i valori di uguaglianza, rispetto e inclusione».
Se un giorno dovessi averne la possibilità, andresti a giocare all’estero?
«Assolutamente sì, perché ti forma tanto e per la diversa considerazione che c’è del calcio femminile negli altri Paesi. Dal momento che sto completando gli studi universitari, dovrei però valutare come organizzarmi da questo punto di vista».
Che cosa diresti alla te di dieci anni fa?
«Le consiglierei di non mollare e di continuare a seguire il suo sogno. È un percorso particolarmente difficile, che insegna tanto, una scuola di vita che trasmette valori importanti. Le direi anche di credere in se stessa: ne vale la pena».
*Studenti dell’istituto Motti
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