Autovelox, ecco perché sono ancora spenti quelli di Codemondo e Masone
Il Comune di Reggio Emilia ha presentato da due anni uno studio dettagliato per altre installazioni ma i progetti sono fermi in prefettura
Reggio Emilia Per qualche giorno hanno rischiato di tornare a “fatturare” per il Comune di Reggio, producendo foto che producono multe. Poi però questo rischio è svanito e i quattro autovelox divisi in coppie – per ognuno dei sensi di marcia – tra Codemondo e Masone continuano ad avere i sigilli che la polizia stradale ha apposto eseguendo una ordinanza di un giudice di Cosenza che si è propagata a macchia d’olio in tutta Italia, andando a sigillare il teleobiettivo degli impianti T-Expeed v 2.0 adottati da numerose città. Autovelox che, secondo i giudici sono illegittimi, in quanto a mancare sarebbero sia l’omologazione sia il prototipo del sistema di rilevamento.
Il decreto bluff
Nei giorni scorsi il decreto che il ministro dei trasporti Matteo Salvini stava per firmare è stato alla fine ritirato dallo stesso vice premier. Sul testo, in fase di trasmissione a Bruxelles, «sono necessari ulteriori approfondimenti», ha spiegato il dicastero. Ma cosa conteneva questo decreto? Il decreto in sostanza stabiliva che, a partire da luglio, gli autovelox approvati dal 2017 in poi - già conformi alle nuove norme di taratura - debbano essere considerati automaticamente omologati, senza ulteriori passaggi burocratici. Tutti gli altri, quelli più datati, devono invece essere spenti fino al completamento del processo di omologazione. Un decreto che alla fine è abortito ma quand’anche avesse visto la luce non avrebbe tolto i sigilli ai quattro autovelox sequestrati nè a tutti gli altri che, disseminati per le strade italiane, erano finiti nell’inchiesta. Perché il decreto – in perfetto stile Salvini – era in realtà null’altro che una sorta di condono delle omologazioni. In realtà il motivo per cui gli autovelox del modello T-Expeed v 2.0 erano stati posti sotto sequestro non per carenze nell’omologazione, ma per il fatto che – secondo l’accusa – la ditta produttrice avrebbe fatto carte false per ottenere l’autorizzazione dal Ministero che è cosa diversa dall’omologazione. Di fatto – se escludiamo gli appostamenti con autovelox mobili e pattuglia a distanza di legge che contesta l’infrazione, in questo momento, Reggio Emilia è una città senza autovelox. E questo non tanto per i due punti di rilevamento della velocità finiti nel mirino della magistratura, ma anche per altri via libera che tardano ad arrivare. Si tratta di un progetto molto ampio, partito già dagli uffici tecnici della viabilità quando il sindaco era ancora Luca Vecchi.
Progetti fermi
Un progetto che prevede l’istallazione di cinque nuove postazioni, individuate anche sulla scorta del tasso di incidentalità delle strade. L’iter prevede che il progetto venga presentato agli uffici della Prefettura e da lì, dopo il via libera a quelli della polizia stradale. Il progetto del Comune di Reggio ha al suo interno, tra i cinque progetti quello – ritenuto fondamentale dall’assessorato alla viabilità – che riguarda la frazione di Villa Cella. Dovrebbe essere questo il primo a ricevere il via libera. Dovrebbe perché è fermo, come gli altri, da due anni, negli uffici della prefettura. Un paradosso, se ci pensate, trattandosi di misuratori della velocità. Reggio città autovelox-free , quindi. Suona talmente bene da candidarsi a mandare in pensione quel “Città delle persone” che accusa l’usura degli anni. Ma, in compenso, con una spada di Damocle sulla testa costituita dei potenziali ricorsi degli automobilisti che tra il 2023 fino al giorno dello stop per via giudiziaria, tra via Garcia Lorca (Masone)e via Teggi (Codemondo). Già, perché saranno stati anche fuorilegge, ma non si può dire che i quattro autovelox non abbiano lavorato, se è vero che è stato calcolato che nel 2023 sono state oltre 15 mila le contravvenzioni figlie di altrettante prove filmate. Se fossimo nel calcio ci appelleremmo al Var, ma qui si guarda ad altro. © RIPRODUZIONE RISERVATA