Gazzetta di Reggio

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Centri storici desertificati

Reggio Emilia, dal 2012 i negozi sono calati del 20,5%. Confcommercio: «A rischio vivibilità e sicurezza»

Luciano Salsi
Reggio Emilia, dal 2012 i negozi sono calati del 20,5%. Confcommercio: «A rischio vivibilità e sicurezza»

Il presidente Carlo Sangalli commenta i dati elaborati da Unioncamere

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Reggio Emilia Lo spettacolo desolante dei negozi sfitti, con le saracinesche abbassate e spesso imbrattate, trova riscontro nel numero delle imprese del commercio al dettaglio, che nella nostra città sono calate del 20,5% negli ultimi dodici anni. È un male diffuso in tutta la penisola, che altrove assume dimensioni ancora più pesanti. Reggio Emilia, infatti, è solo al 92esimo posto nella classifica dei 122 maggiori comuni italiani, che vede al primo posto Ancona, dove la diminuzione è arrivata al 34,7%, e all’ultimo Crotone (meno 6,9%).

I dati, elaborati dal centro studi Guglielmo Tagliacarne di Unioncamere, sono elencati a corredo di "Cities", l’annuale analisi sulla "Demografia d’impresa nelle città italiane" realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio. A Reggio nel 2012 le imprese commerciali al dettaglio erano 1413, di cui 406 all’interno del centro storico e 1007 al di fuori. Alla metà dell’anno scorso se ne contavano 1124, rispettivamente 306 e 818. Ce n’erano, cioè, 289 in meno, di cui 100 nell’esagono racchiuso dalla circonvallazione, dove ormai è inutilizzato il 27% delle botteghe esistenti.

Sono in lievissima crescita (tre in più) solamente i pubblici esercizi (bar, ristoranti e alberghi), che dal 2012 sono diminuiti di sei unità nel centro storico, ma sono aumentati di nove all’esterno. In tutta l’Italia negli ultimi dodici anni sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante, mentre le attività di alloggio e ristorazione hanno segnato un più 18.500. Nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi il numero delle imprese straniere è cresciuto del 41,4%. La falcidie dei negozi è più accentuata nei centri storici che nelle periferie, nelle regioni del Nord che nel Centrosud. Si riducono le attività tradizionali (carburanti -42,1%, libri e giocattoli -36,5%, mobili e ferramenta -34,8%, abbigliamento -26%), mentre aumentano i servizi e le attività di alloggio (+67,5%). Si registra un vero e proprio boom degli affitti brevi (+170%), mentre gli alberghi tradizionali calano del 9,7%.

La diagnosi di Paolo Testa, responsabile Urbanistica e Rigenerazione Urbana di Confcommercio, è impietosa: «La desertificazione commerciale continua a rappresentare un elemento di depauperamento economico e sociale». Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, denuncia: «La desertificazione commerciale minaccia la vivibilità, la sicurezza e la coesione sociale delle nostre città. Occorre sostenere le attività di vicinato e il nostro progetto Cities punta a riqualificare le economie urbane con il contributo di istituzioni e imprese. Senza commercio di vicinato non c’è comunità».

Confcommercio illustra quindi cinque proposte. Anzitutto rivolge agli amministratori locali l’invito alla «rigenerazione dello spazio pubblico e dei quartieri». Si tratta, a suo avviso, di coinvolgere le economie di prossimità e le loro rappresentanze in interventi di trasformazione fisica delle infrastrutture, di mitigazione dell’impatto del cambiamento climatico e di urbanistica tattica. La seconda proposta riguarda «la mobilità e la logistica sostenibili per la città della prossimità». I relativi piani urbani devono essere caratterizzati da misure concrete che includano piattaforme di smistamento merci con magazzini di prossimità urbana per ridurre il traffico e la congestione, nonché sistemi di trasporto a basso impatto ambientale.

Confcommercio propone poi «patti locali per la riapertura dei negozi sfitti». A tale scopo si dovrebbero attivare accordi tra Comuni, associazioni e proprietari per agevolare la definizione di canoni di locazione calmierati e rendere accessibili gli immobili anche alle imprese nascenti o in difficoltà. Al quarto posto viene la «gestione partecipata e collettiva delle città», da intendere come beni comuni accessibili a tutti, con imprenditori e cittadini attivi nella rivitalizzazione dei luoghi, nella creazione di servizi e nella promozione di iniziative culturali e commerciali. Infine vengono richieste «politiche per il commercio locale più efficaci grazie all’uso di tecnologie digitali», con l’uso dei Big Data e dell’Urban Analytics. "Cities" ha sviluppato e sperimentato a tale proposito un applicativo di monitoraggio che analizza i flussi pedonali e le dinamiche commerciali nei centri urbani. l© RIPRODUZIONE RISERVATA