Gazzetta di Reggio

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Da Scuola 2030

Nicola Bertinelli: «Il futuro del Parmigiano Reggiano? Sarà l’estero»

Diana Girla e Tracey Ehidom Studentesse dell’istituto Motti
Nicola Bertinelli: «Il futuro del Parmigiano Reggiano? Sarà l’estero»

Intervista al presidente del Consorzio: «I dazi? Una tassa per i nostri clienti americani»

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Reggio Emilia «I dazi di Trump? Ovviamente ci preoccupa che prenda piede un contesto mondiale di misure restrittive al commercio dei latticini. Nonostante ciò, in passato gli americani hanno continuato a sceglierci anche quando il prezzo è aumentato a causa dei dazi, ci dispiace che dovranno pagarlo di più dato che sarebbe una tassa più alta per loro». A dirlo è il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli, al suo secondo mandato (e verso un possibile “terzo round” alla guida dell’ente di tutela che associa tutti i produttori), che ci ha anticipato una importante novità all’orizzonte: nel 2025, per la prima volta nella storia di questo prodotto, il mercato estero potrebbe superare quello italiano.

Presidente, gli Stati Uniti sono il primo mercato estero per il Parmigiano Reggiano. Come sta affrontando il Consorzio le sfide relative ai dazi ventilati dall’amministrazione Trump? Che effetto potranno avere?
«Gli Stati Uniti sono il nostro mercato estero principale. Nel 2024 il 48,7% della produzione di Parmigiano Reggiano è stata esportata e il 22,5% del totale esportato è costituito proprio dal mercato statunitense. Negli Stati Uniti se guardiamo al mercato dei formaggi duri, quelli che loro chiamano “parmesan”, il Parmigiano Reggiano rappresenta il 7,5% in chili e il 15% del valore del mercato. Considerate che oggi viene venduto a oltre 20 dollari alla libra, contro i circa 8 dollari di un “parmesan”. Questo significa che chi compra Parmigiano Reggiano negli Stati Uniti vuole comprare scientemente questo prodotto, altrimenti avrebbe un'alternativa che gli costa circa un terzo. Per questa ragione noi crediamo che dazi più alti su prodotti come il Parmigiano Reggiano avranno come unico effetto quello di aumentare il prezzo del prodotto a chi lo compra. Non sarebbe che una tassa che incamera il governo americano sulla pelle dei consumatori americani. Attualmente il dazio è del 15% del valore, aggiungendoci un 25% e arrivando quindi al 40%, comunque non si scoraggerebbe il consumatore americano, che continuerà a comprare Parmigiano Reggiano. Diverso sarebbe se ci fosse un aumento di dazi del 100% o addirittura un embargo, ipotesi improbabile perché vorrebbe dire innescare non una “semplice” guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa ma una guerra politica».

Come mai gli Stati Uniti amano così tanto il Parmigiano Reggiano?

«Dovete sapere che il 30% della popolazione americana ha origini italiane e che gli americani che hanno passaporto italiano sono 24 milioni e 400mila persone (poco meno del 10% dei cittadini): insomma, c’è una mezza Italia che vive negli Stati Uniti. Questa è la motivazione per il quale i prodotti italiani sono così richiesti».

A parte gli Stati Uniti, quali sono gli altri principali mercati esteri per il Parmigiano Reggiano? E come sta evolvendo l’export?

«Nel 2024 il 48,7% del Parmigiano Reggiano è stato esportato e pensiamo che nel 2025 l’estero supererà l’Italia come chili venduti: immaginiamo, per la prima volta nella storia, un 51-52% della produzione esportata contro il 48-49% destinato al mercato interno. Questo principalmente dipende da due fattori e il primo è la demografia in Italia, dove nascono 380mila bambini all’anno. Se il trend resta questo, fra 80 anni nel nostro Paese resteremo in 30 milioni, circa la metà di quelli di oggi. Va poi sottolineato che tanti bambini nascono da famiglie di origine non italiana, fatto che ci riporta al ragionamento che le persone mangiano soprattutto ciò che è legato alla propria cultura. Il secondo fattore riguarda il calo della capacità di spesa della classe media. Oggi in Italia il 30% delle famiglie non arriva alla fine del mese e il 45% deve fare bene i conti per farcela, dunque resta un 25% di famiglie italiane che invece non si pongono questo problema. Se tu fai parte dei primi due gruppi, hai bisogno di un formaggio da grattugiare sulla pasta e hai delle alternative più economiche al Parmigiano Reggiano, le scegli. Ecco perché l’Italia non può essere la nostra traiettoria di futuro, che invece deve essere internazionale e in particolare rappresentata da quei Paesi collegati culturalmente all’Italia. Dopo gli Stati Uniti, parlando di volumi, la Francia è il secondo mercato più importante, seguono la Germania, il Regno Unito e il Canada. Potenzialmente potrebbe crescere il mercato rappresentato dai Paesi del nord Europa, come Norvegia, Svezia e Finlandia, ma anche Spagna e Portogallo, che ad oggi non stanno esprimendo quello che potrebbero esprimere e su cui andremo a concentrare i nostri sforzi».

Che ruolo gioca sul territorio e all’estero l’esperienza che offrite ai visitatori aprendo i caseifici e facendo conoscere ai turisti la tradizione del Parmigiano Reggiano?

«Io sono convinto che il Parmigiano Reggiano debba diventare una marca iconica a livello globale. Per riuscirci, bisogna combinare qualità e unicità. La qualità del prodotto deve essere ineccepibile e, contestualmente, a livello culturale deve essere considerato come qualcosa di più di un formaggio. Ricordiamoci che il Parmigiano Reggiano non sarebbe potuto nascere in nessun altro posto del mondo e non è un caso che la sua zona di origine sia questa, dove sono nati anche altri prodotti straordinari come l'aceto balsamico di Modena e il prosciutto di Parma, oltre che personaggi della musica del calibro di Zucchero, Ligabue, Gianni Morandi e Vasco Rossi. In poche parole, il Parmigiano Reggiano deve essere una destinazione turistica: questo è il nocciolo della visione del Consorzio Parmigiano Reggiano oggi».

Qual è stato il risultato di questi otto anni da presidente di cui è più orgoglioso?

«In questi otto anni abbiamo conseguito numerosi risultati e ampliato la misura del mercato del 24%, aumentando i prezzi e le offerte. Abbiamo una visione molto chiara di dove andare e di cosa vogliamo costruire. Il risultato di cui vado più fiero è il fatto che i consorziati si sentono davvero parte di un Consorzio: oggi chi fa parte del mondo del Parmigiano Reggiano ne è orgoglioso».

Ci può raccontare qualche aneddoto interessante sulla storia del Parmigiano Reggiano che personalmente ha contribuito ad appassionarla a questo prodotto?

«Vengo da una famiglia produttrice di latte per il Parmigiano Reggiano quindi da quando ho memoria questo prodotto fa parte della mia cultura più profonda. A spingermi ad impegnarmi nel Consorzio è stata proprio la mia storia: noi conferivamo il latte a una cooperativa che lo prendeva anche da altre 25 aziende e a me frustrava tantissimo il fatto che il nostro latte finisse mescolato con altri, dopo che noi avevamo cercato di fare il latte perfetto per fare un buon Parmigiano Reggiano. Inoltre, quando la forma aveva raggiunto la stagionatura minima di 12 mesi, magari arrivava un commerciante e contrattava un prezzo più basso del valore effettivo. Per me era inconcepibile che dietro a un prodotto così straordinario, con un nome così noto nel mondo, i costi di produzione fossero superiori ai guadagni. Proprio per arginare questa dinamica, 8 anni fa ho deciso di prendermi questo impegno con il Consorzio, che mi vede tutto l’anno in giro per l'Italia e per il mondo».

Com’era il Consorzio prima che lei diventasse presidente nel 2017 e com’è oggi?

«Il Consorzio nasce nel 1934 con l’obiettivo di tutelare, vigilare e promuovere la denominazione di origine. Dal 2017 le sue funzioni si sono ampliate: oggi è anche il luogo in cui i portatori d’interesse di tutta la filiera si trovano per definire insieme la traiettoria di futuro della DOP a 360°. Quindi, anche se formalmente il Consorzio è fatto dai produttori di formaggio, ovvero dai caseifici, trovano voce anche gli agricoltori, i produttori di latte, gli stagionatori, e anche le banche perché è impensabile fare impresa senza qualcuno che sostiene gli investimenti e se questi soggetti non conoscono le logiche che governano il nostro mondo, non daranno mai dei soldi o comunque non nella misura adeguata».

In che modo il Consorzio affronta il cambiamento climatico e come promuove la sostenibilità?

«Intanto prendendo atto che sta accadendo. Abbiamo fatto uno studio importante per capire quanto questo territorio può produrre cibi per gli animali per sostenere la produzione del Parmigiano Reggiano, e stiamo cercando di promuovere politiche che permettano di continuare a mantenere la produzione attuale. Faccio un esempio che riguarda i bacini di accumulo dell’acqua: non si può pensare di fare foraggi senza acqua e noi oggi captiamo solo l’11% dell’acqua piovana. Se considero anni in cui si registrano tre giorni di allagamenti e sei mesi di siccità, bisognare ragionare su come disporre di bacini che accumulino la pioggia, così da potere gestire l’acqua nel tempo e utilizzarla per le irrigazioni. Stiamo inoltre cercando di informare i cittadini affinché riconoscano, quando la incontrano, una informazione faziosa che vuole smantellare la produzione naturale e tradizionale di cibo».
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