Viaggio della Memoria, «noi ricorderemo ma il mondo ha la memoria a breve termine»
Dall’altra parte dell’oceano la prima potenza mondiale è guidata da un uomo senza scrupoli che sta deportando migliaia di migranti in catene, in Libia i migranti sono ancora sottoposti a detenzione e tortura nei lager e in Palestina si sta consumando un genocidio
Silenzio. Silenzio che pervade le orecchie di ogni visitatore. Silenzio che libera lo spazio all’immaginazione delle loro urla. Silenzio che viene rotto solo dalle parole della guida e dal fruscio delle fronde dei “testimoni muti”, le betulle.
È questo silenzio assordante a fare da padrone all’interno dei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau oggi.
«La deumanizzazione»
Ma 80 anni fa non era così. A capo di quella che era una perfetta macchina di sterminio minuziosamente studiata c’erano i nazisti, le SS. C’erano delle persone… Proprio questo non riesco a spiegarmi come sia stato possibile che delle persone abbiano architettare tutto ciò. Camminando per il campo di Birkenau, la domanda mi tormenta e riesco a trovare risposta soltanto all’interno del museo di Auschwitz: qui vedo le fotografie degli ebrei, tutti rasati, tutti scarni e soprattutto tutti con un numero tatuato. Capisco allora che questo non è il tipo di trattamento che si riserva alle persone, bensì quello che si riserva alle bestie.
Per giustificare le atrocità dei campi, il nazismo aveva avviato il più infimo dei processi: la deumanizzazione. La visita in prima persona aiuta a percepirla: non è un film con una trama da seguire o una storia in particolare da conoscere, non è nemmeno un documentario da guardare dietro uno schermo, è un confronto diretto con il posto che fu sede delle peggiori atrocità della storia.
«I can feel their pain»
Le pietre che calpesto sono le stesse su cui camminavano loro, le baracche in cui entro sono le stesse in cui dormivano l’uno sull’altro, accatastati come legna da ardere, il freddo che percepisco è il medesimo che dovevano combattere con un leggerissimo e insufficiente pigiama.
“I can feel their pain”, in italiano “posso sentire il loro dolore”, sento bisbigliare da una coppia di inglesi. Immedesimarsi in quelle persone, infatti, risulta spontaneo e simultaneamente molto difficile da sostenere a livello emotivo, ma noi siamo qua per vedere, conoscere, siamo qua per non dimenticare.
«Non dimenticheremo»
Sì, noi studenti delle scuole reggiane che hanno avuto il privilegio di partecipare al Viaggio della Memoria con Istoreco non dimenticheremo mai e come noi tutti coloro che hanno avuto modo di visitare i campi e di studiare la storia.
Ma, guardandoci intorno, oggi cosa vediamo?
Dall’altra parte dell’oceano la prima potenza mondiale è guidata da un uomo senza scrupoli che sta deportando migliaia di migranti in catene e si diverte a umiliarli, registrando e pubblicando sui social video asmr (video in cui il ticchettio delle catene e il sottofondo del motore dell’aereo vengono trasformati in suoni piacevoli e rilassanti), in Libia i migranti sono ancora sottoposti a detenzione e tortura nei lager, in Palestina si sta consumando un genocidio fra l’indifferenza di tutti e partiti di estrema destra come l’AfD in Germania sono in costante crescita.
«Contro i totalitarismi»
Dunque, in un mondo crudele che sembra avere la memoria a breve termine, oggi più che mai è essenziale ricordare, perché, come suggeriva il filosofo George Santayana già nel 1905 nella sua opera “The Life of Reason”, “coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”.
Una frase che dovrebbe stimolare tutti alla riflessione, soprattutto quelli che anche al giorno d’oggi hanno così paura a dichiararsi antifascisti perché “il fascismo è finito 80 anni fa, non si può essere anti-qualche cosa che non c’è”.
Ecco, dopo essere uscito dai campi di concentramento e avere vissuto personalmente l’esperienza del Viaggio della Memoria, sono certo di una cosa: l’avversione per ogni forma di totalitarismo deve essere alla base della concezione politica di ogni singolo individuo perché definirsi antinazista e antifascista non deve significare appartenere a un certo schieramento politico ma è un dovere storico di tutti.
Se questo è un uomo
Infatti, è sufficiente entrare nelle catapecchie di legno, vedere i forni crematori o pensare che paradossalmente l’unica via alla libertà per loro era rappresentata dal filo spinato elettrificato contro cui si scagliavano per porre fine alle loro sofferenze, per capire cos’è stata la Shoah e soprattutto per chiedersi davvero “se questo è un uomo”.
*Studente del liceo Moro e collaboratore della Gazzetta di Reggio