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L’intervista

L’allarme: «Pochi medici in Italia? Semmai mancano infermieri»

Ginevramaria Bianchi
L’allarme: «Pochi medici in Italia? Semmai mancano infermieri»

Michele Zoli, presidente della facoltà di Medicina e Chirurgia di Unimore fa il punto: «Abbiamo lo stesso numero di Spagna e Germania e più della Francia»

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Reggio Emilia ll settore medico e l'ambito della formazione universitaria stanno vivendo profonde trasformazioni, specialmente a Modena, dove si intrecciano nuove nomine ai vertici sanitari, la crescente esigenza di spazi adeguati per gli studenti, le sfide legate alla specializzazione e il costante dibattito sul numero chiuso. A fare il punto della situazione è Michele Zoli, presidente della facoltà di Medicina e Chirurgia di Unimore, con un’analisi approfondita sui temi più caldi del momento.

Zoli, partiamo dalle novità. Cosa pensa dei nuovi dirigenti Luca Baldino e Mattia Altini, rispettivamente per Aou (Azienda ospedaliero-universitari) e Ausl, e del rapporto tra medicina e università?
«Ho conosciuto Baldino e Altini in Regione in occasione di riunione legate alle mie funzioni. Ne ho avuto un’ottima impressione: hanno visione strategica delle problematiche, e un approccio meditato e pragmatico, con un’eccellente capacità di lavorare insieme. Questo aspetto, ribadito da Baldino durante la sua presentazione al collegio di direzione dell’Aou, è molto positivo ora che sono entrambi a Modena; una coordinazione e concordanza tra Aou e Ausl non può che essere vantaggiosa per la sanità modenese e per le attività universitarie in ambito medico».
Il problema degli spazi per gli studenti di Medicina rimane un nodo cruciale. A che punto siamo?
«Negli scorsi anni ci sono state diverse segnalazioni di disagio da parte degli studenti di Medicina e Chirurgia relative alle aule didattiche, sfociate in una lettera al Rettore e agli organi universitari di aprile 2024, che segnalava l'inadeguatezza delle aule, con il disagio di dover seguire lezioni nelle sale del Cinema Raffaello. L’Ateneo ha risposto immediatamente: già dallo scorso semestre, agli studenti di Medicina e Chirurgia sono state assegnate aule universitarie di dimensioni e caratteristiche adeguate, ad eccezione di una classe che frequenta l’ex-chiesa San Carlo, peraltro la sede più gradita fra quelle esterne all’Ateneo. Il problema di fondo è stato il rapido incremento del numero di studenti immatricolati: da circa 140 a circa 220 per anno nell’ultimo quadriennio. Questo aumento ha reso inadeguate quasi tutte le aule del centro servizi del Policlinico, tradizionalmente sede del corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Per risolvere in maniera strutturale il problema è in avvio la costruzione di nuove aule nel campus di Ingegneria, ma soprattutto sono state progettate quattro aule da 220 posti nel nuovo edificio degli Istituti biomedici in via Campi. I lavori per quest’ultimo edificio porteranno a una riqualificazione significativa del campus scientifico, anche se sarà necessario attendere il 2028 per il loro completamento».

Si parla spesso di carenza di medici in Italia. Qual è la sua opinione?
«Questa affermazione non è oggi corroborata dai numeri, come testimoniato dal rapporto Anvur Formazione di area medica presentato alla Camera dei deputati in giugno 2024. L’Italia ha lo stesso numero di medici per mille abitanti di Spagna e Germania e il 30% in più rispetto a Francia e Inghilterra. Dal 2017 al 2024, il numero di laureati in Medicina è raddoppiato, e nei prossimi sei anni questo porterà ad un numero di laureati per anno circa doppio rispetto a quello degli altri Paesi europei. Già ora un laureato medico su dieci va all’estero, in Europa o negli Stati Uniti. Il problema non è numerico, ma legato alle condizioni lavorative: i medici si iscrivono sempre meno a specializzazioni cruciali, e trovano sempre più attrattivo il privato o l’estero».
Cosa sta accadendo, invece, con le specializzazioni?
«Dopo un lungo periodo di reclutamento insufficiente, dal 2018 il numero di posti in specializzazione è aumentato, ma ora circa un posto su 3 rimane scoperto. Alcune specializzazioni come dermatologia e chirurgia plastica sono molto gettonate, mentre altre, come medicina di emergenza-urgenza e anestesia e rianimazione, restano con molti posti vuoti. Il pubblico è poco concorrenziale rispetto al privato, e le condizioni di lavoro in ospedale sono sempre più difficili e frustranti, come, ad esempio, nei pronto soccorso. Il problema non è il numero di medici e specializzandi in sé, ma ricreare un sistema che renda il settore pubblico, e quindi le specializzazioni tipicamente collegate al settore pubblico, più efficiente e attrattivo».

Il numero chiuso a medicina è sempre al centro del dibattito. Cosa ne pensa della riforma in discussione?

«Il numero chiuso esiste ovunque, non è una peculiarità italiana. Formare un medico è costoso e richiede molti docenti e infrastrutture adeguate, dato che la formazione medica ha una forte componente pratica da svolgere in ambienti assistenziali. La proposta attuale non elimina il numero chiuso, ma lo sposta dopo il primo semestre. Questo comporta grossi problemi pratici: nessuna università è in grado di accogliere adeguatamente l’afflusso probabilmente quadruplicato di studenti iniziali. Verosimilmente le lezioni saranno online, penalizzando la qualità della didattica. Inoltre, il semestre sarebbe comune a tutti i corsi di laurea biomedici con grandi difficoltà a costruire un percorso formativo adeguato a tutti i corsi, dalla medicina alla chimica farmaceutica o alla veterinaria. In più, gli studenti dovranno pagare le tasse per sei mesi senza la certezza di poter proseguire il percorso formativo desiderato. E, come detto sopra, non si risolve così il problema della carenza di medici nel pubblico».
Qual è la situazione dei fondi per la ricerca in Italia?
«Il finanziamento della ricerca in Italia è storicamente insufficiente. Investiamo la metà o poco più rispetto alla media europea. Il fondo principale per la ricerca di base, il Prin, non viene finanziato ogni anno, e il tasso di successo è intorno al 5%: semplificando un po’, un ricercatore medio dovrebbe ricevere il finanziamento statale standard un anno ogni venti. Con il Pnrr la situazione è molto migliorata portandoci a livelli analoghi agli altri Paesi europei, ma ora rischiamo di tornare indietro con l’aggravante di avere operato in pochissimi anni un ampio reclutamento di giovani ricercatori precari ai quali sarà difficile garantire una stabilizzazione. Inoltre, in Italia manca un'Agenzia nazionale per la ricerca, presente in tutti gli altri Paesi avanzati, che si faccia garante di una programmazione della ricerca con finanziamenti consistenti e stabili e criteri comuni e adeguati di valutazione dei progetti».
E per l’infermieristica, qual è la situazione?
«Contrariamente al numero di medici e laureati in Medicina e chirurgia, rispetto agli altri Paesi europei maggiori l’Italia ha una carenza notevole di infermieri. Questa professione risulta poco attrattiva tanto che, a livello nazionale, i posti nei corsi di laurea triennale in Infermieristica sono solo parzialmente coperti. Uno dei problemi della professione di infermiere è la carenza di alta formazione e specializzazione, e quindi di progressione di carriera. In questo contesto, Unimore ha aperto in questo anno accademico il secondo corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche, orientato alla medicina del territorio e di comunità. La strategia di istituire nuovi corsi magistrali tematici è stata recepita a livello regionale, e soprattutto è stata premiata dagli studenti che hanno risposto con moltissime domande di iscrizione e hanno riempito tutti i posti disponibili sia nel corso con sede a Modena sia in quello con sede a Reggio Emilia. Riteniamo –conclude Zoli – che questi professionisti saranno un patrimonio molto importante per il nostro sistema sanitario». © RIPRODUZIONE RISERVATA