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L’appello

Saman, la verità torna nelle mani del fratello: a processo come testimone

Jacopo Della Porta
Saman, la verità torna nelle mani del fratello: a processo come testimone

Sarà sentito durante la prossima udienza: per la prima volta parlerà davanti anche alla madre

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Bologna Il fratello di Saman torna nel processo per l’omicidio della 18enne dalla porta principale, come testimone e non come persona “indagabile”. Giovedì sera, nella penombra della settecentesca aula Bachelet di Palazzo Baciocchi, sede della Corte d’Assise d’Appello di Bologna, il presidente del collegio Domenico Stigliano ha letto l’ordinanza con la quale ha accolto la richiesta della procura di riaprire in parte l’istruttoria e riascoltare Alì Haider. Se non lo avesse fatto, il processo si sarebbe avviato su binari molto più prevedibili. Il secondo grado – che vede imputati i genitori della giovane uccisa a Novellara il primo maggio 2021, Nazia Shaheen e Shabbar Abbas, condannati all’ergastolo, lo zio Danish Hasnain, al quale sono stati dati 14 anni, e i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, assolti e liberi – inizia dunque con una novità importante. Senza la riapertura del dibattimento, sarebbe stata praticamente scontata l’assoluzione dei cugini. La richiesta di ascoltare Haider è stata avanzata nel ricorso scritto dal procuratore capo Calogero Gaetano Paci e dalla pm Maria Rita Pantani, applicata nel processo a Bologna, ed è stata rinnovata anche ieri dalla pm della procura generale Silvia Marzocchi.

L’accusa ha avanzato anche altre richieste, tra cui quella di richiamare in aula l’ex datore di lavoro di Shabbar Ivan Bartoli e il commerciante che vendette i biglietti aerei per il Pakistan ai coniugi Abbas, ma per ora la Corte ha deciso di ripartire dal fratello. Poi si vedrà. L’ordinanza è stata letta dopo quasi due ore di camera di consiglio. Il 20enne comparirà di fronte alla Corte tra una settimana, nel pomeriggio del 6 marzo. A Reggio Emilia i giudici avevano deciso di ascoltarlo come persona potenzialmente indagabile e dunque al pari di una persona indagata in un procedimento connesso. Sembra un tecnicismo, ma è fondamentale, perché le sue dichiarazioni non sono state considerate come quelle di un testimone “puro”. Chi rischia di essere incriminato, infatti, ha tutte le ragioni per non raccontare tutta la verità. Il valore della sua testimonianza era stato dunque depotenziato. Ieri la Corte ha preso atto dell’avvenuta archiviazione di ogni accusa nei confronti del fratello. Il presidente ha dunque valutato in modo differente la posizione del testimone rispetto ai colleghi di Reggio Emilia. Stigliano ha specificato che si riserverà, ovviamente, qualsiasi valutazione sulla sua attendibilità. Al fratello aveva nuociuto il fatto di aver detto in un primo momento di non aver visto i cugini la notte in cui venne uccisa la sorella, anche se aveva aggiunto di sapere che erano presenti.  Poi in aula disse di averli visti. Soddisfatti per questa novità l’avvocato Angelo Russo, che assiste Alì Haider, e la collega Valeria Miari, che ha seguito il giovane fin dall’inizio e poi ha continuato a tutelarlo come persona potenzialmente indagabile. Entrambi sono interessati alla verità processuale, ma anche al riconoscimento del sofferto e genuino distanziamento dalla famiglia che il giovane, che ha 20 anni ed è ancora seguito dai servizi sociali della Bassa, ha compiuto. «Abbiamo chiesto di ascoltarlo come un testimone semplice e dunque adesso le sue dichiarazioni possono essere utilizzate anche ai fini della decisione, anche senza un eventuale riscontro estrinseco», ha detto Russo. «Alì Haider è l’unico testimone oculare di quella aggressione e non ha alcun motivo per mentire e andare contro la sua intera famiglia – ha commentato l’avvocata Barbara Iannuccelli, che assiste Saqib Ayub, il fidanzato di Saman – Questo vuol dire che tutti i giochi sono aperti».

L’avvocato Luigi Scarcella, che tutela il cugino Nomanulhaq – Ikram Ijaz è assistito da Mariagrazia Petrelli – al termine dell’udienza non ha manifestato preoccupazione. «Ricordo che siamo stati noi difensori a chiedere che il fratello fosse ascoltato quando la procura di Reggio e le parti civili non volevano. Pertanto, non ero preoccupato prima e non lo sono nemmeno ora». Quello però che è certo, è che sono i due cugini quelli che hanno più da perdere in questo appello. Lo conferma indirettamente anche l’avvocato Liborio Cataliotti, che difende lo zio Danish Hasnain. «Le novità di oggi? Avendo un cliente che in primo grado è stato condannato, a me non cambia niente…». Per lo zio, la partita sarà tutta sulle aggravanti. Se fossero riconosciute la premeditazione o i motivi futili e abietti, allora non potrebbe accedere al rito abbreviato che in primo grado gli è valso una condanna relativamente mite. Un’altra novità riguarda un video che la procura ha chiesto di acquisire. È un filmato realizzato dai carabinieri nel quale sono assemblate le immagini della videosorveglianza dell’azienda Bartoli di Novellara, dove viveva la famiglia Abbas, e di un vicino di casa. Si tratta di una ricostruzione che intende fornire una visione d’insieme sui movimenti degli imputati nei giorni precedenti il delitto e la notte stessa, avanzando anche alcune ipotesi per spiegare quanto accaduto in alcune zone d’ombra, non coperte dall’occhio della telecamera. Su questa prova c’è anche stato un vivace scambio, perché i difensori degli imputati lo hanno già visionato, ma il presidente della Corte ha detto che non erano autorizzati a farlo. l