Chiude la Libreria Ariosto: «Colpa di un mercato stravolto»
L’intervista al proprietario Roberto Sartori: «Una libreria professionale non serve più»
Reggio Emilia Sarà, quella odierna di San Silvestro, una giornata carica di malinconia alla Libreria Ariosto di piazza della Vittoria. Alle 13, infatti, chiuderà definitivamente la libreria professionale e per universitari che era aperta da 65 anni.
Uno spazio che ha contribuito a scrivere, nel suo piccolo, la storia del centro città e che dal 2015 è stato preso in gestione dal titolare Roberto Sartori. Milanese di nascita e marchigiano d’adozione, Sartori si è trasferito più di un decennio fa a Reggio e nel 2015, dopo altre esperienze professionali come direttore vendite, ha rilevato l’attività, che è stata per tanto tempo un punto di riferimento per coloro che si cimentavano con gli esami universitari o erano chiamati a sostenere l’esame professionalizzante.
Da domani, la porta della Libreria Ariosto sarà chiusa definitivamente, lasciando alle spalle volumi da restituire e storie di vita che si sono intrecciate, tra una prova da superare e un colloquio da affrontare.
Per Roberto Sartori sono ore intense, con gli ultimi clienti da servire e gli scaffali che si stanno gradualmente svuotando, ma tracciare un bilancio di questi anni è inevitabile: «Chiudo perché è cambiato il mercato e una libreria professionale non serve più», sostiene.
In che senso?
«Dall’editore al cliente, tutta la catena del mercato è stata stravolta e non c’è più spazio per una libreria professionale, basti pensare che nel 2024 hanno chiuso anche a Brescia e Firenze. Ce ne sono un centinaio in tutta Italia».
Eppure il via vai in questi giorni non manca, vero?
«Sta venendo più gente del solito, ma il problema è che i miei clienti sono come dei Panda, in via d’estinzione: ne devo prendere atto. Dal periodo del Covid, i conti non sono più tornati».
I suoi ricordi?
«Abbiamo incontrato tantissimi ragazzi che venivano anche da fuori Reggio, facendo del nostro meglio per aiutarli e consigliarli sin dal periodo che precedeva il test d’ingresso in ateneo. Commercialisti, avvocati, ingegneri che dovevano sostenere l’esame di Stato venivano qua per acquistare i libri. Inevitabilmente, lavorare in libreria ti spinge a parlare con tantissime persone e conoscerle. Una libreria di questo genere non è un self service. C’è una cosa, però, che mi dispiace».
Ovvero?
«Constatare come questi giovani siano sfruttati nel mondo del lavoro, dopo tanti sacrifici. Accanto a ragazzi demotivati, ci sono anche tanti giovani propositivi e con voglia di fare».
Sono in tanti in queste ore a ricordare la Libreria con affetto e come un punto di riferimento a Reggio.
«Se lo fossimo stati davvero, forse non avremmo chiuso. Non è certamente una polemica, ma una constatazione».
Da domani che farà?
«Intanto sono molto impegnato a smaltire tutti i volumi: ne avevamo più di novemila e ne sono rimasti tremila. Gli altri seimila sono già tornati all’editore. Una volta che avrò concluso tutte le pratiche, mi lancerò nel volontariato».
Il degrado del centro storico, tra baby gang e negozi che chiudono, ha inciso nella scelta?
«No, anche perché la situazione è migliorata rispetto a quattro-cinque anni fa, in cui c’era veramente da avere paura».
Rimarrà a vivere a Reggio?
«Sì, con mia moglie abbiamo fatto questa scelta anche perché Reggio Emilia è una città accogliente anche sul fronte delle persone più sfortunate».