Gazzetta di Reggio

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Dopo l’incidente mortale

L’appello da via Freddi e via Tirabassi: «Non è un caso che qui si verifichino tanti incidenti: bisogna intervenire»

Ambra Prati
L’appello da via Freddi e via Tirabassi: «Non è un caso che qui si verifichino tanti incidenti: bisogna intervenire»

L’appello dei residenti: «Chiediamo al Comune di installare dissuasori, dossi o autovelox per limitare la velocità»

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Reggio Emilia «Via Freddi e via Tirabassi sono diventate le tangenziali sud-ovest “alternative”, usate dagli automobilisti come scorciatoia per evitare il traffico. Ma restano strade pericolosissime: chiediamo al Comune di installare dissuasori, dossi o autovelox per limitare la velocità e far sì che venga rispettato il limite dei 50 chilometri orari». Stefano Casi, mobility manager per gli istituti scolastici, rappresentante del comitato che ha ottenuto un tratto di ciclabile in via Freddi nonché residente a Case Bigi, accende i fari sulla scarsa sicurezza stradale a San Bartolomeo e dintorni. «Non è un caso che qui si verifichino tanti incidenti. Vi spiego il perché».

Dopo il frontale di venerdì in via Tirabassi che ha provocato due morti – il padre di famiglia Alan Baisi, 28 anni, e il pensionato 83enne Vittorio Costi –, Casi coglie l’occasione per lanciare un appello sulla necessità di modificare la viabilità della frazione, nota per le vittime della strada. Casi mostra via Freddi dalla strettoia di fronte a Case Bigi («I bambini sono costretti ad aspettare l’autobus sull’erba mentre le auto arrivano dalla salita “alla cieca”, i miei figli li accompagno sempre») alla rotondina delle elementari («Hanno appena ridipinto le strisce, erano piene di frenate»). Da lì via Tirabassi, dove sono ancora visibili i segni dei rilievi sull’asfalto: una strada immersa nel verde e continui saliscendi e semicurve. «Questo tratto per me è bellissimo: ogni tanto lo percorro in moto e sono tanti i ciclisti che lo scelgono perché panoramico, tanto piacevole quanto pieno di insidie – prosegue Casi – Chi guida si lascia ingannare dal fatto che siamo in campagna e schiaccia il piede sull’acceleratore, ma queste peculiarità rendono le due strade pericolose, soprattutto per chi non conosce a menadito il percorso».

Numerosi automobilisti poi transitano da Ghiardello, Codemondo e San Bartolomeo per evitare gli ingorghi cittadini. «Chi proviene da Appennino o Val d’Enza e deve recarsi, ad esempio, sulla via Emilia o al casello di Campegine sa che questo tragitto permette di evitare gli ingorghi di Rivalta e delle arterie cittadine ad alta percorrenza: si può risparmiare anche mezz’ora e gli automobilisti lo sanno. Il fenomeno è evidente nei periodi di maggior traffico come questo: nelle ore di punta si formano le code». Secondo il residente i rischi sono sottovalutati. «Il problema è che si tratta di strade comunali strette, con scarsa visibilità perché sinuose (il conducente vede l’ostacolo all’ultimo minuto), che attraversano centri abitati e due scuole, dove occorre andare piano; non adatte ai mezzi pesanti che pure transitano, né ai sorpassi. Aggiungiamo che mancano i controlli: la polizia locale si vede raramente e non ci sono velox, il che significa impunità per chi non rispetta il limite». Il risultato è una lunga catena di scontri tragici. Tra i precedenti mortali, quello del 30 gennaio 2022 quando la studentessa ventenne Elena Russo, che lavorava saltuariamente per una pizzeria per pagarsi gli studi di giurisprudenza, mentre eseguiva una consegna si schiantò alla guida di una Fiat Punto. Il processo per omicidio colposo è in corso. «Prima del 2022 abbiamo fatto uno studio sull’incidenza dei sinistri in quest’area: è emerso che erano morti otto pedoni e ciclisti, la metà dei quali minori – prosegue Casi – Negli ultimi due anni, prima di venerdì scorso, fortunatamente non si sono verificati mortali, ma gli schianti sono proseguiti con una frequenza significativa: l’anno scorso si sono contati dodici sinistri con feriti gravi, uno al mese, sia perché il traffico è aumentato sia perché non si è agito sulle cause». Per cambiare questa situazione il mobility manager lancia un appello. «Per fare andar piano i veicoli servono strumenti come rotonde, chicane, isole pedonali, bande rumorose, dossi o un tutor che rilevi la velocità. Alcuni residenti vorrebbero una maggior presenza di forze dell’ordine, ma gli agenti non possono essere sempre presenti mentre un tutor è attivo 24 ore su 24. Mi rivolgo all’amministrazione: non aspettiamo che si verifichino altre tragedie, occorre intervenire subito». Proprio dal Comune fanno sapere che c’è l’intenzione di installare un autovelox: «Abbiamo un piano per l’installazione di decine di nuovi velox che alcuni anni fa non fu avvallato dalla Prefettura – afferma l’assessora Carlotta Bonvicini – Penso sia il momento di proporlo di nuovo e chiedere a Prefetta e Stradale un supporto maggiore per velocizzare le procedure. L’incidente di via Tirabassi ci rappresenta una problematica diffusa sulle strade extraurbane nelle frazioni. Nei grandi assi viari (come può essere via Teggi, su cui il velox è già stato installato sebbene al momento sequestrato per via delle indagini sull’azienda produttrice), ma strade di campagna che connettono centri abitati, spesso attraversate da chi taglia il territorio per accorciare le distanze la mattina o la sera per andare a lavorare, che si riempiono di traffico nelle ore di punta ma che nelle ore di morbida vedono le auto sfrecciare a velocità molto superiori rispetto ai limiti». Per Bonvicini, «la velocità è una delle maggiori cause di incidente, nonché la causa principale di morte nei sinistri. Controllarla e regolamentarla è l’unico modo per salvare le vite. Senza strumenti di controllo, finché non avremo automobili in grado di regolare autonomamente la velocità in base ai limiti, continueremo ad avere incidenti e morti. Nei centri abitati possiamo lavorare maggiormente sul disegno stradale, ma sull’extraurbano i velox restano l’unico strumento efficace». l © RIPRODUZIONE RISERVATA