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L’intervista

Matteo Bassetti: «Serve un patentino per i medici su come si utilizzano gli antibiotici»

Matteo Bassetti: «Serve un patentino per i medici su come si utilizzano gli antibiotici»

L’infettivologo del San Martino di Genova sull’emergenza dell’antibiotico-resistenza: «Troppo prescrizioni dai dentisti e per gli interventi estetici. I vaccini? Aiutano gli antibiotici a funzionare di più»

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«Oggi, di fronte ai super batteri, non esistono dei super antibiotici. Esiste qualche nuovo antibiotico che però funziona sempre con il meccanismo di azione di quelli vecchi. Non ci sono stati miglioramenti da questo punto di vista e credo che la situazione futura andrà peggiorando. Per questo motivo è importante sensibilizzare tutti, anche l’opinione pubblica, sul tema dell’antibiotico-resistenza». È quanto afferma il professor Matteo Bassetti, infettivologo direttore della Clinica di malattie infettive del San Martino di Genova commentando il rapporto elaborato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) in occasione della settimana mondiale per la consapevolezza sull’antibiotico-resistenza.

Professor Bassetti, in Italia si registra un terzo delle morti in Europa per batteri resistenti agli antibiotici.
«Il numero indicato nel report emerge da un sistema di sorveglianza molto approssimativo che rappresenta unicamente le infezioni ospedaliere. Manca totalmente il dato relativo alle infezioni comunitarie ricoverate in ospedale (cioè chi si prende un’infezione a casa e poi viene ricoverato in ospedale) e mancano anche i numeri delle persone che muoiono in casa loro. Abbiamo fatto delle simulazioni sulla base del fatto che in Italia ogni anno abbiamo tra i 30mila e i 50mila morti per infezioni da batteri resistenti, come se ogni anno nel nostro Paese ci fosse il Covid, il cui numero complessivo di morti in quattro anni è di circa 200mila. Quella da antibiotico-resistenza è una pandemia che qualcuno ha chiamato silenziosa ma che invece è rumorosissima e i numeri sono impressionanti».

A cosa è dovuta la situazione del nostro Paese?
«Non sono qui a dare colpe a qualcuno ma è evidente che altri Paesi come la Francia, la Spagna, la Germania, l’Inghilterra e il Nord America, negli ultimi 20-25 anni, hanno invertito la tendenza con un approccio sistematico. All’estero è stato fatto un lavoro che noi non siamo stati in grado di fare oppure non abbiamo voluto fare, come investire nella comunicazione. Bisogna parlare a scuola, formare i medici. Il problema vero è che noi abbiamo una classe di medici che non è adeguata alla problematica attuale e da cui la prescrizione degli antibiotici viene fatta con leggerezza via whatsapp, via messaggio, senza vedere i malati o semplicemente perché il malato lo chiede».

Quali sono i casi più frequenti in cui vengono prescritti gli antibiotici senza una reale necessità?

«Per esempio, nel caso di estrazioni dei denti non bisogna fare assolutamente nessuna terapia antibiotica, salvo i casi in cui siano presenti problemi a livello cardiaco per cui è prevista la profilassi per endocardite. Si stima che i dentisti siano responsabili tra il 10 e il 15% di tutti gli antibiotici prescritti in Italia, nonostante le linee guida codifichino i casi in cui vanno prescritti. Per quanto riguarda altri ambiti della medicina, spesso si prescrivono antibiotici come profilassi per interventi chirurgici estetici o per curare vulvovaginiti o infezioni della pelle, casi in cui si dovrebbe procedere prima con dei tamponi da inviare in laboratorio prima di fare prescrizioni. Sono situazioni che non hanno un razionale e non ci sono evidenze che supportino la prescrizione di antibiotici».

C’è relazione tra somministrazione di vaccini e uso di antibiotici?

«Il vaccino non è soltanto uno strumento che aiuta la gente ad ammalarsi di meno e ad ammalarsi in maniera meno grave, ma aiuta anche gli antibiotici a funzionare di più. Per esempio, sono in aumento i casi di pertosse nei neonati. Spesso sono casi gravissimi, addirittura mortali perché le madri non si sono vaccinate durante la gravidanza. Torna il tema dell’ignoranza: uno specialista che oggi non consiglia la vaccinazione alla gestante e poi un neonato muore di pertosse significa che il medico non è aggiornato o ancora peggio che è contro i vaccini. Inoltre, sul fronte dei virus sinciziali che provocano il bronco spasmo in età pediatrica, in Italia è disponibile l’anticorpo monoclonale approvato dall’Agenzia europea per i medicinali, che però quest’anno non è ancora stato inserito nel calendario vaccinale. Se c’è un presidio che può evitare un’infezione, in questo caso virale, andrebbe inserito nel calendario vaccinale, andrebbe suggerito e fornito gratuitamente. Per curare l’influenza l’Italia è uno dei Paesi che utilizza di più gli antibiotici ma se tutta la popolazione fosse vaccinata, avremmo molti meno casi».

L’approccio all’utilizzo di antibiotici è anche una questione generazionale?

«Io insegno ai medici di medicina generale e trovo su questo tema una grande sensibilità da parte dei giovani laureati negli ultimi 10-15 anni che sono stati sensibilizzati al tema dell’antibiotico-resistenza durante i corsi universitari e poi nei corsi successivi. La generazione di medici che si è formata molto prima era abituata all’arrivo di un nuovo antibiotico ogni mese che sostituiva quello vecchio e il problema dei batteri resistenti agli antibiotici non esisteva. Io proporrei addirittura l’introduzione di un patentino da assegnare dopo aver fatto dei corsi su come si utilizzano gli antibiotici».