«Alluvione? Le tane dei tassi e degli istrici fanno collassare gli argini»
Il professore di Unimore Stefano Orlandini venerdì interverrà a Santa Vittoria: «Ma l’esperienza di Modena dimostra che possiamo convivere con questi animali»
Cadelbosco Sopra Comprendere le ragioni dell’alluvione del 20 ottobre per capire come prevenirle. Il professore Stefano Orlandini, ordinario di Costruzioni Idrauliche all’Università di Modena e Reggio Emilia, domani sera dalle 20.30 interverrà a Palazzo Greppi a Santa Vittoria, ospite del Comitato Aria Buona Gualtieri e del Comitato Aria Pulita Cadelbosco Sopra che hanno promosso un’occasione di confronto.
Professor Orlandini, lei ha condotto uno studio sul collasso arginale del Secchia nel 2014 nel Modenese, arrivando alla conclusione che gli animali fossori, come tassi e istrici, ne siano stati la causa principale. Può spiegare meglio?
«Vorrei premettere che questa non è un’opinione, ma una conclusione basata su osservazioni scientifiche. Il caso del collasso dell’argine del Secchia del 19 gennaio 2014 è stato l’evento che ha dato origine al nostro studio. All’epoca, fui membro della commissione regionale istituita per individuare la causa del crollo. Abbiamo dimostrato che il cedimento è stato provocato dalla presenza di tane scavate da mammiferi fossori, principalmente tassi e istrici, rilevate anche in immagini aeree del 2010 e 2012. La nostra analisi, pubblicata su Water Resources Research, è stata rigorosa e supportata da prove scientifiche».
Perché le tane provocano il collasso degli argini durante una piena?
«Durante una piena, l’acqua penetra nell’argine creando una zona satura e una insatura. La stabilità è garantita finché la parte satura rimane alla base, sostenuta dal terreno sottostante. Il rischio emerge quando la linea di separazione tra le due zone raggiunge il lato esterno dell’argine o una tana scavata da animali fossori: in questi punti, la parte satura perde sostegno, provocando il collasso dell’argine per sfiancamento o erosione interna».
Ma tassi e istrici non sono sempre stati presenti in zona?
«I tassi sì, ma gli istrici si sono diffusi solo di recente. Sono arrivati dalla montagna alla pianura e hanno raggiunto la nostra area intorno al 2010. La questione non è solo la loro presenza, ma il loro numero. Quando gli animali sono tanti, diventa difficile controllarli».
Come andrebbe gestito il problema?
«Nel Modenese si è fatto così. Gli animali vengono catturati con gabbie e trasferiti in zone montane, dove non arrecano danni. Allo stesso tempo, le tane sugli argini vengono riparate. A Modena il problema è stato gestito con attenzione, riducendo significativamente i rischi. Infatti, nel 2023 e 2024 gli argini di Secchia e Panaro hanno tenuto. In altre zone, come Reggio Emilia e la Romagna, l’attenzione è stata minore, e gli effetti si vedono. Per questo motivo abbiamo sviluppato l’applicazione Burrow Tracker, che mappa la presenza di tane e coinvolge i cittadini nella sorveglianza. La presenteremo nell’incontro di Santa Vittoria, e anche A Washington DC».
Le nutrie sono dannose?
«Meno rispetto a tassi e istrici. Costruiscono le loro tane a livello della corrente di magra, quindi al massimo possono causare piccoli cedimenti del bordo del canale, ma raramente danneggiano gli argini in modo significativo. Gli istrici e i tassi invece costruiscono le tane nella sommità».
Per lei il crollo dell’argine del Crostolo a Cadelbosco Sotto è stato causato non dal sormonto delle acque ma dalle tane?
«Al 100%, anche se non ho condotto uno studio specifico su questa alluvione. Guardando le foto tutto indica che il crollo è avvenuto per quel motivo. Mi conforta il fatto che il nuovo presidente della Regione, Michele de Pascale, sul quale nutriamo una grande fiducia, ha riconosciuto dopo gli eventi della Romagna che questo è un problema da affrontare».
Alcuni dicono che l’urbanizzazione e la mancanza di casse di espansione sono le principali cause delle recenti alluvioni. È d’accordo?
«No, non per il Crostolo, per esempio. Sul Crostolo abbiamo già casse di espansione sufficienti, come quella a Rivaltella e quella all’altezza della Vasca di Corbelli. Quanto all’urbanizzazione, essa ha un impatto limitato sulle grandi piene, che si formano principalmente nelle aree montane e pedemontane, dove la percentuale di territorio urbanizzato è trascurabile».
Quindi, è solo colpa degli animali fossori?
«No, c’è il tema molto importante della gestione dei corsi d’acqua, spesso trascurata. È essenziale bilanciare le funzioni ecologiche e di smaltimento delle acque, e mantenere gli alvei puliti, rimuovendo sedimenti e vegetazione invasiva quando necessario».
Quello della vegetazione è un tema che fa discutere.
«La vegetazione non va eliminata completamente, ma va gestita. Quando è eccessiva, può rallentare il flusso dell’acqua, elevare il livello e causare accumuli pericolosi in caso di piena. Bisogna trovare un equilibrio tra le esigenze ecologiche e quelle di sicurezza idraulica».
Cosa si può fare per prevenire nuove emergenze?
«Serve consapevolezza. Progetti come Burrow Tracker dimostrano che coinvolgere i cittadini è cruciale. In inglese il concetto è noto come “Citizen Science.” Inoltre, occorre ridare fiducia agli ingegneri idraulici. Solo con una gestione attenta dei corsi d’acqua e un monitoraggio continuo possiamo ridurre i rischi e convivere con queste problematiche, perché purtroppo quello che è accaduto il 20 ottobre non è lo scenario peggiore».
Quale sarebbe lo scenario peggiore?
«Il Crostolo si ingrossa quando piove sull’Appennino e, attraversando Reggio, la piena raggiunge Santa Vittoria. Questo è già un problema, ma il caso peggiore è un altro: quando a Santa Vittoria arriva una piena di rigurgito per effetto della piena del Po. In questo caso la piena ha durata maggiore. Se l’argine del Crostolo dovesse rompersi in queste condizioni, non sarebbe l’acqua del bacino montano a uscire, ma quella del Po, con un volume immensamente superiore. Come è successo nel 1951». © RIPRODUZIONE RISERVATA