Fabio Volo: «The Riff sta andando molto bene: mi sembra di aver portato una cosa bella in città»
Lo scrittore e volto della televisione parla del suo ultimo libro e del locale che ha aperto a Reggio Emilia con Benny Benassi
Reggio Emilia Fabio Volo torna in Emilia, per presentare "Balleremo la musica che suonano" (Mondadori), il nuovo romanzo. Il prossimo appuntamento è per domenica 17 novembre alle 17.30 al Bper Forum a Modena. A Reggio Emilia lo aveva presentato alla libreria Coop all’Arco nelle scorse settimane. Scrittore, attore, conduttore televisivo e radiofonico, i suoi libri sono tradotti in molti Paesi del mondo; in questo nuovo romanzo, per la prima volta, Volo abbandona la finzione narrativa per immergersi in una dimensione personale senza filtri: episodi commoventi si alternano a scene più scanzonate e divertenti, rendendolo uno dei suoi libri più intimi e sinceri. È la storia di un giovane Fabio Volo che cresce sentendosi fuori posto, insoddisfatto della propria vita e senza fiducia nel futuro. La sua famiglia modesta lo ha abituato a fare delle rinunce, quando si andava in pizzeria si sceglieva il piatto che costava meno, non quello che piaceva davvero. Così il giovane cresce disilluso, considerando i sogni e desideri fuori dalla sua portata. La svolta arriva quando scopre il potere della lettura, non più vissuta come un obbligo scolastico, ma come mezzo di evasione che porta verso nuove possibilità. Le opere di autori come Hermann Hesse, Gabriel García Márquez, Jack London, Joseph Conrad lo ispirano a guardare oltre la quotidianità e a credere in un futuro diverso.
Fabio, come tu stesso hai ribadito, non ti piace stare al centro dell'attenzione, condividere troppo la tua vita privata. Come è stato allora per te scrivere un libro così intimo e personale come questo?
«È che non l'ho visto come un libro autobiografico, per quello avrei dovuto mettere molte più cose. Ho voluto solo raccontare una storia mettendo dei momenti in cui molte persone si possono ritrovare, ho condiviso delle parti che credo accomunino molte persone e che spesso non vengono raccontate. Perché quando uno fa un libro con un apporto autobiografico, sono sempre storie di persone con grandi talenti e grandi sogni, che attraverso varie peripezie riescono a raggiungere il successo. Questa invece è la storia di un ragazzo che non ha un talento in particolare e non ha nemmeno un sogno. Quando ero piccolo non è che sognavo di fare la vita che sto facendo adesso, lavoravo con mio padre in panetteria e sognavo di avere due, tre, panetterie, per dire».
È la storia di una persona che non insegue i propri sogni, perché non ne ha, ma segue un sentire.
«Mi premeva raccontare l'importanza dell'ascoltarsi e di sentire quando uno è a suo agio o a disagio in una situazione, in una relazione, in un lavoro. Perché non necessariamente, ad esempio per lasciare un lavoro, devi avere un sogno, esattamente come è stato per me: è stato semplicemente seguire un sentire che non ti sta dicendo di fare l'attore, lo scrittore, il tennista… Ma ti sta dicendo: segui questo sentire che ti porterà da qualche parte. È la stessa sensazione che probabilmente prova una tartaruga quando esce dal guscio: non ha il sogno del mare che non sa neanche cos'è, non l'ha mai visto. Lei segue un sentire e si ritrova poi nel mare».
“Se tu segui tua stella non puoi fallire a glorioso porto” scrive Dante, che tu citi nel libro, nella Divina Commedia.
«A volte si pensa che esista una sorta di oligarchia di gente che ha talenti e sogni e poi c'è tutto il resto dell'umanità che deve tirare il carretto e faticare sempre. Invece se ognuno di noi seguisse il proprio sentire, come scrive Dante, le cose sarebbero diverse».
I sogni sono sopravvalutati?
«Spesso i sogni stessi, nella vita, lasciano spazio a sogni nuovi quindi a 15, 20 anni ne hai uno che ti porta a iniziare un dato percorso, poi magari a 25 anni quel sogno non ti appartiene più perché nel frattempo sei diventato altro, ti ritrovi così a vivere il sogno di una persona che non sei più, e non ti completa. Seguire se stessi e il proprio sentire, invece, secondo me è più importante perché il sentire - non il pensare - ti aggiorna sempre sulla tua natura, su come sei fatto».
È un libro che ci parla di altri libri e di altre letture, ma partiamo dalla tua compagna inseparabile, la matita: come ti affianca nei tuoi viaggi di carta?
«Se c'è una frase che mi colpisce e non la sottolineo mi sembra di non averla colta, non avere la matita con me, quando leggo, è come andare a funghi senza il cestino. “Colleziono” così frasi che rileggo, mi stimolano, mi fanno partire delle riflessioni, mi dicono delle cose di me, ed è importante trovare questi tesori, oltre alla storia».
La tua lettura più salvifica?
«Quando ero ragazzino, è stato importante “Narciso e Boccadoro” di Hermann Hesse; poi “La linea d'ombra” di Joseph Conrad, “Martin Eden” di Jack London e soprattutto la Divina Commedia che è quella che contiene un po' tutte le risposte».
Capita spesso di voler negare il proprio passato o comunque di desiderare di prenderne le distanze, mentre la dedica che leggiamo in questo romanzo - “A quello che siamo stati” – ci restituisce tanta gratitudine e affetto.
«Guardo a quel “me” che ho raccontato nel libro con tenerezza e penso che tutto sia giusto così. Ho visto nella vita di mio padre subire ingiustizie, torti, ma non ne parlo mai con rabbia e odio, tutto è stato necessario alla liberazione di un'idea che avevo di me che non ero io. Va benissimo se quel dolore è curativo».
E guardando al presente, l’avventura di The Riff a Reggio Emilia con Benny Benassi come va?
«Il locale sta andando molto bene, siamo molto contenti, mi piace come è venuto, mi sembra di aver portato una cosa bella in città. Non siamo ristoratori, facciamo altro nella vita, volevamo fare un locale bello per noi e per chi aveva voglia di andarci e secondo me ci è riuscito molto bene».