È tornato libero Alfonso Paolini: uomo di fiducia e “pr” di Sarcone
Era considerato anello di collegamento con la politica. Era stato condannato a 12 anni
Reggio Emilia Ha saldato il suo conto con la giustizia ed è tornato libero Alfonso Paolini, 70 anni, uno degli imputati più in vista del maxiprocesso contro la ’ndrangheta emiliana collegata al clan cutrese Grande Acrari. Per il piccolo imprenditore edile venerdì scorso si sono aperte le sbarre del carcere di Poggio Reale di Napoli, dove ha trascorso gli ultimi due anni e mezzo: la sua pena è finita e ha potuto far ritorno a casa a Fogliano. Si tratta di una delle prime remissioni in libertà di una figura considerata eccellente nel procedimento pietra miliare della lotta alla criminalità organizzata nella metamorfosi emiliana. Considerato anello di collegamento con la politica, Paolini è stato arrestato nella mega retata del gennaio 2015 e recluso a Teramo.
Condannato in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso a 15 anni e 8 mesi, in Appello la condanna è scesa a 12 anni, confermata dalla Cassazione. Ma la maggior parte della condanna Paolini l’ha trascorsa agli arresti domiciliari. Era il 2016 e l’allora imputato – che ha sempre negato gli addebiti – si trovava nella gabbia dell’aula bunker di Reggio, quando era arrivata la comunicazione che il Riesame aveva accolto l’istanza dei domiciliari presentata per motivi di salute dal suo avvocato difensore Federico De Belvis: Paolini era stato esentato dal partecipare alle udienze e scortato ai domiciliari, dove ha scontato gran parte della pena in virtù di quel triplo by-pass incompatibile con la detenzione. Tornato in cella dopo il verdetto definitivo, la liberazione anticipata (che ha tolto 2 anni e 3 mesi) lo ha reso un uomo pienamente libero. Regista della cena degli Antichi Sapori a Gaida dov’era presente, Paolini è stato ritenuto uomo di fiducia di Nicolino Sarcone: un punto di riferimento per le pubbliche relazioni. Uno dei «quattro amici al bar», secondo la definizione pittoresca del pentito Antonio Valerio: insieme a Giuseppe Iaquinta, Pasquale Brescia e Antonio Muto, secondo le motivazioni dei giudici Paolini è stato uno «sviluppatore di idee in stretto e confidenziale rapporto con esponenti di forze dell’ordine e ben introdotti nella società civile», che portava «canali di condizionamento della rappresentanza politica, delle istituzioni, dell’informazione».l © RIPRODUZIONE RISERVATA