Gazzetta di Reggio

Reggio

Strage di Gaida

Ha ucciso quattro persone: minacce al suo avvocato

Ambra Prati
Ha ucciso quattro persone: minacce al suo avvocato

Lo sfogo del legale dell’imputato Orjol Lame. «Capisco il dolore dei parenti ma io faccio soltanto il mio lavoro»

23 settembre 2024
3 MINUTI DI LETTURA





Reggio Emilia «Non potete cavarvela così: ha ammazzato tre bambini!». E ancora, rivolto all’avvocato difensore dell’imputato Orjol Lame (34 anni, deve rispondere di omicidio stradale plurimo e pluriaggravato) Giuseppe Caldarola: «Dovresti vergognarti». Se n’è andata dall’aula urlando e imprecando Anieza Hyseni, mamma e nonna che ha perso tre figli e un nipotino neonato nella strage di Gaida.

Accompagnata dall’unico figlio rimastole, dal marito Ardian e da altri parenti, Anieza è sbottata ieri, 23 settembe, in tribunale a Reggio esprimendo tutta la sua rabbia al termine dell’udienza preliminare davanti dal giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi e a diversi legali. Momenti di alta tensione che l’avvocato dei coniugi Hyseni, Nicola Termanini, è poi riuscito a stemperare, calmando i suoi assistiti.

L’incidente più grave registrato dalla cronaca locale degli ultimi anni risale al 30 ottobre 2022. Quella domenica sera alle 19.50 Orjol Lame guidava sulla via Emilia verso Sant’Ilario, trasportando la compagna, il figlioletto e i fratellini di lei, al volante di una Fiat Stilo. All’improvviso il conducente sbandò, tagliò la strada in diagonale e piombò contro un casolare in disuso: morirono all’istante la compagna di Lame, Shane Hyseni di 22 anni, il figlio Mattias Lame di pochi mesi e i fratelli della giovane, Resat Hyseni, 11 anni, e Rejana Hyseni, 9 anni. I corpi, coperti da un lenzuolo bianco, furono allineati uno accanto all’altro: una strage degli innocenti che commosse l’intera città e che distrusse all’istante due famiglie, i Lame e gli Hyseni, da allora acerrimi nemici.

Lame risultò sotto l’effetto di un mix di cocaina e farmaci, viaggiava a velocità folle, aveva già precedenti e su di lui pendeva un provvedimento di espulsione: non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi in Italia.

La Fiat Stilo era senza assicurazione e senza revisione.

Il 34enne unico sopravvissuto riportò un’invalidità permanente: oggi è in sedia rotelle e vive in Albania. Così come sono tornati in patria – ma sono sempre presenti alle udienze, anche ieri sono arrivati a Reggio appositamente dall’Albania – i coniugi Hyseni, la cui unica ragione di vita è quella di ottenere giustizia: perciò i genitori e nonni in precedenza si sono opposti all’archiviazione del processo penale, intraprendendo al contempo l’iter legale civilistico affidandosi allo Studio3A-Valore Spa, società nazionale specializzata nel risarcimento danni.

Nella seduta di ieri, 23 settembre 2024, risoltasi nell’ennesimo rinvio, le controparti hanno chiesto e ottenuto la citazione del responsabile civile che – in assenza di un’assicurazione – è il “Fondo di garanzia per le vittime della strada”. Un passaggio doveroso ma in salita, visto che di solito il Fondo tende a intervenire quando è già stata emessa una condanna; perciò si rischia di allungare ulteriormente i tempi di un procedimento già dilatato dal nodo dell’assenza di una copertura assicurativa. Quello che i coniugi Hyseni – che si sono costituiti parte civile, avanzando una richiesta risarcitoria di un milione ciascuno per un totale di 2 milioni di euro – temono maggiormente è l’intenzione del 34enne di patteggiare: in quel caso l’imputato se la caverebbe con una pena mite, mentre l’altro filone civilistico si complicherebbe ulteriormente. Una volta riportata la calma, gli avvocati delle controparti si sono confrontati. «Si è trattato di uno sfogo dettato dalla rabbia e da un dolore che non finirà mai: i miei assistiti sono stati colpiti da un quadruplice lutto», ha detto Termanini, che ha proseguito: «Ho preannunciato ai coniugi Hyseni l’eventualità di un patteggiamento e per loro, che hanno sempre invocato una condanna esemplare, sarebbe incomprensibile».

«Capisco il dolore dei familiari, che hanno individuato me come bersaglio della loro rabbia – ha detto Caldarola –. Sono mesi che ricevo minacce di morte da parte di numeri di cellulari sconosciuti con il prefisso dell’Albania. Io faccio soltanto il mio lavoro». l

© RIPRODUZIONE RISERVATA