«Così il Lambrusco reagisce alla crisi del clima e dei consumi»
Il direttore generale di “Cantine Riunite & Civ” Gabriele Lechthaler a tutto campo su vendemmia, identità del vino emiliano e innovazione
Campegine Nella sede di via Brodolini a Campegine, quartier generale del Gruppo Cantine Riunite & Civ, colosso cooperativo con un fatturato di 673 milioni di euro, si è in piena attività per l’inizio della vendemmia. Questo momento, come sempre, offre l’occasione per fare bilanci e considerazioni. Oltre 1.450 soci, che coltivano 4.800 ettari di vigneti tra Reggio Emilia e Modena (circa la metà di quelli complessivamente presenti in queste province), si preparano a conferire le loro uve nei centri di vinificazione della cooperativa.
Con il direttore generale Gabriele Lechthaler - trentino, formazione enologica e laurea in Chimica a Padova - abbiamo discusso a 360 gradi del mondo del Lambrusco, vino emiliano per eccellenza e pilastro dell’identità gastronomica e agricola del nostro territorio. Abbiamo parlato delle difficoltà che affliggono il settore, come la crisi dei consumi, l’aumento dei costi e il cambiamento climatico, ma anche delle opportunità e delle nuove tendenze, come il vino senza alcol.
Direttore, come sta andando la vendemmia?
«La raccolta del Pignoletto e del Moscato nella zona di Modena è già iniziata, e possiamo dire che si tratta di un’ottima annata, con una qualità elevata. Per quanto riguarda i Lambruschi e l’uva Lancellotta, la vendemmia è partita nelle zone di Campagnola e Ca’ de’ Frati».
Previsioni sulla quantità?
«È ancora prematuro fare previsioni, ma possiamo dire che la qualità sarà ottima, anche perché non abbiamo avuto i problemi di malattie degli anni scorsi. Negli ultimi anni è diventato sempre più difficile stimare quanta uva sarà raccolta, a causa di fattori come le malattie e il clima. Il caldo intenso di quest'anno ha asciugato le uve, ma queste si presentano sane, con bei grappoli e una gradazione in linea con le aspettative. Tuttavia, ci aspettiamo una resa inferiore rispetto agli ultimi cinque anni. L’anno scorso, il caldo ha ridotto la nostra produzione del 14-15%. La riduzione della produttività sembra essere un trend strutturale: non avremo più i picchi produttivi di un tempo. Vecchie e nuove malattie, come la flavescenza dorata nella zona modenese, hanno ripreso a colpire, causando perdite del 20-25% nelle aree affette. Inoltre, il clima avverso, come la siccità o il caldo, continua a influenzare negativamente la produzione».
Come state reagendo ai cambiamenti climatici?
«Non ci rassegniamo. Ci stiamo adattando sia in campagna che in cantina. Mi hanno sempre detto che la campagna è come una casa senza tetto, ma preferisco immaginarla come una nave in burrasca: non si è completamente in balia degli eventi, il capitano può mitigare le avversità. Portiamo avanti iniziative a livello agronomico per affrontare il cambiamento climatico».
Ad esempio?
«Stiamo preservando la vegetazione della vite per proteggere l’uva dall’eccessiva esposizione al sole. La sfogliatura delle viti viene effettuata poco prima della raccolta. Fortunatamente, il Lambrusco è un’uva molto resistente e, nonostante i cambiamenti climatici, mantiene un buon livello di acidità anche in annate molto calde. L’acidità è fondamentale per il Lambrusco: gli conferisce freschezza al palato e lo distingue dai vini rossi strutturati. Per preservare questa caratteristica, oltre alle pratiche agronomiche, abbiamo introdotto monitoraggi regolari e analisi chimico-fisiche del prodotto: se necessario, anticipiamo la raccolta».
A livello globale si parla di un calo dei consumi, soprattutto per i vini strutturati. E il Lambrusco?
«Esportiamo in oltre 90 Paesi e ci confrontiamo con gusti diversi. Notiamo che il Lambrusco è in linea con le nuove tendenze di consumo: mentre i vini rossi strutturati sono in crisi, il Lambrusco piace per la sua bassa gradazione e il giusto equilibrio tra zucchero e acidità. È leggero, piacevole e ha un ottimo rapporto qualità-prezzo».
C’è chi propone di estirpare le viti a fronte del calo dei consumi. Che ne pensa?
«Abbiamo già visto una riduzione della produttività del 10-15% rispetto a dieci anni fa, a causa della siccità e delle malattie. Non c’è bisogno di estirpare viti. Le quantità che produciamo sono bilanciate con le richieste del mercato».
L’aumento dei costi quanto ha influito sui bilanci?
«La guerra in Ucraina ha provocato una spirale inflazionistica. Il picco dei prezzi del gas, ad agosto-settembre 2022, ha coinciso con la vendemmia. Abbiamo registrato aumenti del 70% sui costi delle bottiglie di vetro, e il Lambrusco, essendo un prodotto sotto pressione, richiede bottiglie più spesse. Questo ha ridotto la marginalità in modo significativo. Abbiamo cercato di assorbire questi costi senza riversarli completamente sul mercato. Da aprile ad agosto 2023 abbiamo avuto un calo della marginalità, ma ora la situazione si sta stabilizzando e ci aspettiamo di recuperare parte delle perdite entro fine anno».
Le tensioni con la Russia che effetti hanno avuto?
«Molto pesanti. La Russia era un mercato in crescita a doppia cifra, ma ora sta calando. Le sanzioni hanno portato all’introduzione di dazi doganali sui vini, e questo ha triplicato il prezzo del Lambrusco sugli scaffali».
Qual è il vostro mercato principale?
«Dopo l’Italia, il nostro mercato principale è l’America. Siamo presenti negli Stati Uniti con Riunite da più di mezzo secolo, un traguardo che pochi brand italiani possono vantare».
Il vino senza alcol è una delle tendenze emergenti. State esplorando questo mercato?
«Da oltre due anni siamo in fase di ricerca e sviluppo. Da aprile produciamo Lambrusco e Pignoletto senza alcol, che stiamo vendendo in Cina e in altri mercati. Lo stiamo proponendo anche in Italia, sebbene in quantità limitate».
Davvero? In campo alimentare siamo un paese piuttosto conservatore, a volte persino integralista...
«Siamo convinti che sul mercato non ci sia un solo consumatore. Sono tanti, con gusti ed esigenze diverse. Un consumatore che beve il nostro Lambrusco difficilmente andrà su un vino dealcolizzato. Ma c’è chi, per mille motivi non consuma alcol e potrebbe apprezzarlo. Non vogliamo farlo bere a chi è abituato al prodotto con l’alcol o snaturare il Lambrusco. Resterà una piccola parte del nostro business, ma le ricerche indicano delle potenzialità. Se dovesse aver successo, perché lasciare questa nicchia ad altri, magari a grande multinazionali che non sono legate al territorio? La sfida è realizzare un prodotto che sappia di Lambrusco e mantenga molte delle sue caratteristiche».
Secondo lei, qual è l’identità del Lambrusco?
«Quando entriamo in nuovi mercati, dobbiamo spiegare che il Lambrusco non è un vino rosso né un vino bianco, è una categoria a sé stante e va bevuto freddo».
E c’è chi ancora, anche in Italia dove pure è molto apprezzato, lo snobba…
«Quando i consumatori lo assaggiano, si rendono conto che dietro la parola Lambrusco c’è un mondo, con nove varietà diverse di uva, ognuna con caratteristiche uniche. È un vino eclettico, con stili che vanno dal secco al dolce. E ha un rapporto qualità-prezzo eccezionale. Si presta perfettamente come aperitivo o per un brindisi tra amici».
In una parola?
«È un vino che “non se la tira”…».
Proprio come gli emiliani…
«Esattamente».