James Bragazzi alpinista nell’anima poeta con i suoi clic
Il fotografo: «Il nostro Appennino è unico, parmensi e modenesi non hanno chances»
A impreziosire le pagine di Appennino Green, l’inserto che ci accompagna quotidianamente alla scoperta della inesauribile bellezza delle nostre montagne, sono state anche le immagini catturate da James Bragazzi. Albe e tramonti ad alta quota. Torrenti, laghi e corsi d’acqua. Sguardi che diventano poesie. Scorci trasformati in emozioni. E quel “formato panorama” a lui attribuito che rappresenta una cifra stilistica oltre che un marchio di fabbrica inimitabile.
James Bragazzi, nato a Casina, classe ’52, incontra la fotografia durante gli studi tecnici compiuti a Reggio Emilia e apre il suo primo studio nel 1974. Ha viaggiato in tutto il mondo, raccontandone i luoghi attraverso le sue immagini, ma la sua ricerca trova da sempre il suo reale fondamento nel paesaggio dell’Appennino Reggiano.
A fare la differenza, oltre a un indiscutibile talento, la sua grande passione per il cammino e per l’avventura. Il suo essere, al di là dei chilometri percorsi, un instancabile alpinista nell’anima. «In effetti non sono ancora andato in ferie – riflette ad alta voce Bragazzi – ma ho fatto tantissime uscite, escursioni e ferrate».
Non l’ho mai sentita pronunciare la parola mare...
«Sono nato in montagna e sono un alpinista. In realtà non ho mai sentito il bisogno di mare. Una volta mi piaceva andare alle Cinque Terre ma giusto perché c’era una parete da arrampicata. Non sono mai riuscito a capacitarmi di come la gente possa stare tutto il giorno coricato su un lettino a prendere il sole».
Allora torniamo in montagna e al piacere di fotografarla.
«Fino a vent’anni fa, quando con il buio uscivo di casa per andare a scattare foto al lago del Ventasso, prendevo del matto. Ma allora oggi siamo tutti matti. Perché se ci vai adesso, metti alle 10 di sera, trovi decine di fotografi. Alcuni sono stati anche miei allievi e in tanti hanno alle spalle una certa preparazione tecnica ma è anche vero che con le attrezzature che ci sono oggi basta essere un po’ svegli e riesci a fare foto discrete. Poi è altrettanto vero che la tecnica non basta perché a fare la differenza è il pathos che metti nello scatto».
Ma quanto è innamorato dell’Appennino Reggiano?
«Il nostro Appennino, oggettivamente, è unico. Non è paragonabile né con quello parmigiano né con quello modenese. Pensiamo solo al Ventasso, al Cusna e alla Pietra di Bismantova che da sola batte tutti. Non c’è niente da fare, parmigiani e modenesi da questo punto di vista non hanno chances. Da una parte e dall’altra si possono fare belle passeggiate, escursioni piacevoli ma è tutta un’altra storia. Basti pensare al Cimone che, a parte essere ormai completamente coperto dalle piste, è troppo antropizzato. Luoghi selvaggi come sull’Appennino Reggiano non se ne trovano».
A proposito di luoghi selvaggi, lei però negli ultimi anni ha anche documentato con sempre maggiore interesse il territorio montano che cambia.
«È molto interessante osservare e fotografare il paesaggio che muta grazie alle buone pratiche dell’uomo. Cinquant’anni per esempio fa non c’erano quasi più piante e oggi, finalmente, il bosco si sta riprendendo quello che gli era stato tolto. Qualche anno fa Vignali, il direttore del Parco, mi chiamò proponendomi un lavoro sul Mab io gli tirai fuori qualcosa come 400 foto. Perché se da un lato mi piace, ed ero partito da lì, fotografare paesaggi il più possibile integri, è altrettanto interessante testimoniare come l’uomo, comportandosi eticamente, possa evitare che la natura e in questo caso la montagna gli si rivolti contro».
Una documentazione del territorio montano che cambia, quindi, ma anche ricerca artistica ed emotiva, che tocca una parte molto importante della fotografia reggiana. Questi sono i motivi per cui la biblioteca Panizzi, e la fototeca in particolare, hanno recentemente accettato con entusiasmo la donazione fatta da James Bragazzi agli archivi cittadini: complessivamente mille diapositive che riguardano una selezione significativa del suo lavoro sull’Appennino reggiano, distribuiti nel tempo (circa vent’anni fa, dal 1986 al 2007) e nello spazio: dal Cerreto alla Pietra di Bismantova, da Sologno a Febbio, passando per la Pieve di Toano e il castello di Rossena. Un excursus, documentario, artistico ed emozionale, da lasciare in eredità alle generazioni future. Il patrimonio donato sarà presto messo a conservazione, digitalizzato e catalogato sulla piattaforma degli archivi del Comune.