Gazzetta di Reggio

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Il dramma delle badanti sfruttate «Avevo bisogno di quel lavoro»

Ambra Prati
 Il dramma delle badanti sfruttate «Avevo bisogno di quel lavoro»

I racconti delle lavoratrici agganciate su internet «Ricevevamo 500 euro al mese invece di 1200 Le minacce: «Vai pure da un legale»

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Reggio Emilia «Venivano scelti perlopiù lavoratori stranieri, che avevano difficoltà a interfacciarsi con i clienti per via della lingua, e li sottoponevano a incarichi gravosi, accompagnandoli immediatamente dal cliente senza essere a conoscenza delle condizioni di salute dell’anziano». Con stipendi (in teoria 1.000-1.200 euro al mese) che non arrivavano, arrivavano con il contagocce e quasi sempre con pagamenti parziali. È il dramma che ha come protagoniste le badanti reclutate da “Cop Assistenza”, i cui gestori si spacciavano per «un’associazione tra tutte le lavoratrici» quando era esattamente il contrario, ovvero la società di intermediazione scoperchiata dall’inchiesta dei carabinieri di Bologna (18 gli episodi contestati da gennaio 2023, sette i casi nel Reggiano tra città e Scandiano, Cadelbosco Sopra, Fabbrico, Rubiera, Ramiseto e Castellarano).

Ricordiamo che sono state arrestate, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita, allo sfruttamento del lavoro (il cosiddetto caporalato) e alle truffe aggravate, tre persone: Fabio De Falco, 49 anni, e la sorella Giuseppa “Pina” De Falco, 57 anni, originari di Caserta e residenti a Ferrara (con precedenti per truffa, insolvenza fraudolenta e bancarotta fraudolenta), rispettivamente amministratore e responsabile; e Hakima El Abbi, marocchina di 45 anni residente a Cavriago, che secondo gli investigatori aveva il ruolo di caporale.

Dagli atti emerge un aspetto inquietante: se a finire sotto la lente è stata la finta cooperativa, in precedenza nel 2021 gli stessi indagati avevano aperto “Cupp” (poi abbandonata per le denunce) e nel maggio 2024 De Falco aveva aperto “Emilia Assistenza”. Insomma man mano che le società si “bruciavano” ne aprivano un’altra; non a caso il gip Maria Cristina Sarli ha disposto il carcere non solo perché l’associazione a delinquere è provata («dal rapporto stabile e duraturo», «dalla struttura organizzativa», «dal programma criminoso», dalle risorse materiali» e dalla «suddivisione dei ruoli»), ma anche perché «la facilità con la quale gli indagati hanno dimostrato di reperire persone in stato di bisogno disposte a lavorare a qualsiasi condizione, sfruttandole con spregiudicatezza» induce a ritenere il trio «pericoloso e incline a reiterare e intensificare le condotte di guadagno illecito».

Nelle carte emerge la voce delle malcapitate badanti; la maggior parte magrebine, ma anche ucraine, bulgare e italiane. Le lavoratrici vengono reclutate con annunci sul sito Subito.it (ovviamente estraneo all’inchiesta, ndr). Una ucraina racconta di aver firmato quello che credeva un contratto (in realtà moduli che non venivano registrati) per 1.100 euro, ricevendo tre versamenti sul suo conto di soli 190 euro, 30 euro e 100 euro. «Perciò mi sono rivolta al sindacato Cgil». Una marocchina invia una mail ai carabinieri riferendo di essere stata pagata 500 euro al mese per 100 ore alla settimana: «Ero convinta che Pina e Hakima rubassero i soldi, ma avevo bisogno di quel lavoro». Un’altra racconta di aver lavorato 9 mesi per Cop Assistenza ma di essere stata pagata solo sei mesi, ovviamente «senza busta paga». Un’altra ancora, quando si lamenta con Pina di aver ricevuto appena 400 euro per un mese, per tutta risposta si sente dire spavaldamente: «Non mi importa nulla, vai pure da un legale».