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«Gli uffici pubblici insieme ai servizi devono ripopolare il centro storico»

Serena Arbizzi
«Gli uffici pubblici insieme ai servizi devono ripopolare il centro storico»

Reggio Emilia, lo spunto del professor Cadoppi: «L’Ateneo dovrebbe avere una sede nel cuore della città»

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Reggio Emilia «Suggerirei di popolare il centro ancora di più di studenti, mentre ora accade il contrario».

Parola del professor Alberto Cadoppi, docente di diritto penale a Parma e profondo conoscitore di varie sfaccettature della realtà di Reggio Emilia.

Professor Cadoppi, come si presenta oggi, il centro storico di Reggio Emilia?

«La premessa è che il centro rappresenta l’identità stessa di una città. Reggio Emilia, pur non essendo paragonabile a Venezia, Firenze o Siena, ad esempio, non è sicuramente brutta. Come appassionato di storia ho avuto modo di studiare tante delle bellezze di Reggio Emilia e posso testimoniare che disponiamo di numerosi tesori che potrebbero essere valorizzati. La nostra città è a misura d’uomo, con un centro storico in cui è gradevole fermarsi per coltivare una dimensione di socialità, che consente di incontrare amici e conoscenti. Una dimensione che caratterizza la vita tipica italiana. Tuttavia, nonostante il centro disponga di tutte queste potenzialità, e stato fortemente svilito e avvilito da una politica che ha pian piano spostato gran parte delle attività all’esterno».

In che modo?

«Pensiamo, ad esempio, al lavoro. Ovvio che agricoltura e industria si trovino al di fuori della città, ma non è altrettanto ovvio che le attività terziarie siano ospitate all’esterno. Se il lavoro viene tolto dal centro togliamo da lì una grossa fetta di vita. Chi non lavora in centro non è nemmeno incentivato a vivere nel cuore della città. Avendo spostato quasi tutti gli uffici pubblici, dal tribunale al catasto, agli uffici finanziari e fiscali, all’Inps, è comprensibile che anche il lavoro si sia spostato. E non è un caso che buona parte degli avvocati abbiano lo studio fuori dal centro e insieme a loro tanti commercialisti. Questo ha svuotato il cuore della città insieme a tutte le persone che lo frequentavano. I negozi, da soli, non possono richiamare una percentuale significativa di persone da fuori e quindi questa parte della città ha perso buona parte della sua attrattiva. Di conseguenza, un centro deserto si trasforma in una zona di degrado, riempita da soggetti pericolosi che creano disordini e insicurezza urbana. A lungo andare, questa politica porta a un lento abbandono se non allo spopolamento del centro. Una condizione che si avverte soprattutto di giorno, perché la gente di sera si riversa nei locali e nelle piazze. Non possiamo, però, pensare a una città che si riempie solo di sera».

Qual è la soluzione perché si risvegli il cuore della città?

«Per fare in modo che la città si risvegli e anche i negozi possano beneficiare di un rilancio a seguito del rientro delle persone, da un lato bisognerebbe riportare alcuni degli uffici pubblici in centro. In secondo luogo, bisogna analizzare anche il fenomeno di spostamento di molte scuole fuori dall’Esagono. Nella gran parte delle città, quasi tutte le più importanti, l’università è in centro. Da noi nel 1998 per fortuna è sorta Unimore e ciò è stato accompagnato da una bellissima ristrutturazione della caserma Zucchi. Poi, il Seminario ha attratto una parte di quegli studenti e, in più il prossimo anno un altro corso andrà al Polo dell’innovazione alle ex Reggiane. Io, invece, suggerirei di popolare il centro di studenti ancora di più, mentre ora accade il contrario. Magari proprio nelle zone a rischio più alto di degrado, come l’Isolato San Rocco. Qui c’è l’esigenza di mantenere presidi di socialità. E mi sembra incredibile che sia vuoto l’immobile che ospitava la Banca d’Italia, quando potrebbe essere usato come università o per trasferirvi classi, come venne fatto per l’esperienza della “Scuola diffusa” dopo il Covid, o, ancora, per uffici pubblici».

Chi dovrebbe fare il primo passo per queste trasformazioni?

«Serve la volontà politica: il Comune potrebbe dare impulso all’Università stessa. Credo comunque che ci siano forti esigenze di un’Università in pieno centro. Occorre riportare lì facoltà importanti e magari uno studentato con alloggi in affitto. Perché, ad esempio, non creare un luogo simile agli ex poliambulatori di via Monte San Michele?».

Come vede un’espansione di tipo commerciale nei grandi immobili ora vuoti come quello della Banca d’Italia?

«Di per sè non è una vocazione contrastante, ma il fare rivivere e popolare il centro è prioritario rispetto alla possibilità di fare ripartire il commercio. Finché noi non riportiamo in questi prestigiosi e grandi contenitori uffici pubblici e altre attività richiamando il lavoro in centro, sarà faticoso dar nuova linfa al commercio. Certo, se si portassero in centro negozi di grandissimo richiamo, questo potrebbe essere un ulteriore volano per l’affluenza in centro. Quanto ai contenitori per attività di natura pubblica, per Palazzo da Mosto c'era un accordo per cui sembrava dovesse entrare nel circuito dell’Università, poi d’improvviso si è cambiata idea: questo immobile di pregio è piuttosto sottoutilizzato rispetto al suo potenziale. Perché non insediarvi l’Ateneo? E l’ex Opg dietro al PalaBigi potrebbe prestarsi a uno studentato o ad altre attività universitarie». 

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