Gazzetta di Reggio

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L’intervista

«La contemporaneità in architettura si gioca sull’organizzazione degli spazi per la comunità»

Alice Benatti
«La contemporaneità in architettura si gioca sull’organizzazione degli spazi per la comunità»

Il 25 luglio Antonio De Rossi farà tappa nel reggiano per parlare di architetture per la comunità ai corsisti della summer school “Paesaggio, comunità e sostenibilità”

22 luglio 2024
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Professore ordinario e coordinatore del Masterplan del Politecnico di Torino, Antonio De Rossi ha firmato progetti architettonici e di rigenerazione sulle Alpi che gli sono valsi numerosi premi e riconoscimenti. Il 25 luglio farà tappa nel reggiano per parlare di architetture per la comunità ai corsisti della summer school “Paesaggio, comunità e sostenibilità”. Sarà un intervento a due voci sugli spazi comunitari quello a cui darà vita con Giovanni Teneggi all’agriturismo “Il Ginepro” di Castelnovo Monti.

Professore, in che modo l’architettura può mettersi al servizio delle comunità del nostro Appennino?

«Come Politecnico di Torino stiamo lavorando a diversi progetti di rigenerazione in giro per l’Italia che vedono protagonisti spazi ibridi, multipli, che offrono non solo funzioni diverse ma che permettono di accelerare i processi rigenerativi del territorio in cui si inseriscono, spesso paesi dove non è rimasto quasi più nulla. E di ricostruire la comunità, fatta di abitanti di quel paese ma anche di persone che lo abitano in maniera intermittente e di coloro che vengono da fuori. Diventano così luoghi scambiatori tra culture locali e culture urbane».

Ci faccia qualche esempio concreto.

«Ad esempio, una piccola infrastruttura come un bar o un ristorante che offre anche servizi alla comunità come il supporto agli anziani nelle tecnologie informatiche. L’elemento ricorrente è l’offerta di un servizio di base, come la ristorazione, appunto, in un luogo dove poi possono capitare cose: corsi di formazione, eventi, laboratori. Nel borgo di Ostana, in Piemonte, ai piedi del Monviso, è nato l’asilo di “O”, realtà educativa di impronta outdoor rivolta ai piccolissimi, fino a tre anni d’età, gestito da una cooperativa di comunità che ha costruito la sua missione didattica sul fatto di essere in montagna. Ci sono genitori che portano i bambini in alta valle per il carattere pedagogico particolare offerto da questa scuola».

Per i fautori del ripopolamento della montagna, il borgo di Ostana è quasi divenuto un manifesto. Come?

«In questo Comune dell’alta Valle Po, che era ormai morto, l’architettura ha fatto da volano alla rigenerazione sociale, economica e culturale verificatasi nell’ultimo trentennio. In 20 anni il paese è passato da 5 a 50 abitanti. Il ripopolamento è stato possibile grazie alla collaborazione con il Politecnico di Torino e alla scelta di ristrutturare gli edifici esistenti o costruire negli spazi che già erano occupati da case e capannoni. È stato fatto anche un importante lavoro di costruzione del patrimonio edilizio pubblico, che oggi è costituito da una decina di edifici».

Come si inserisce l’architettura in un processo di ripopolamento?

«L’architettura svolge compiti a differenti livelli e il più elementare è quello di contenere funzioni, che io valuto di carattere limitativo. Dove si sono messe a punto esperienze di contenuti di qualità vedo che l’architettura gioca un ruolo importante perché diventa un elemento di forte connotazione e riconoscibilità della comunità. Una volta era la chiesa il luogo simbolo in cui si riconosceva la comunità di un paese, oggi sono questi nuovi spazi che assumono una “sacralità”. Poi ci sono i temi più architettonici e il tema vero è quello di non contrapporre tradizione e innovazione. Molte volte la ripetizione di questo inno alla tradizione è proprio di comunità morte che sacralizzano aspetti esteriori della tradizione e ne fanno degli idoli. Una comunità che ricomincia a vivere, guarda invece alla contemporaneità. E dal punto di vista architettonico significa pensare luoghi che siano contemporanei nel senso che spiegavo prima».

Quindi una contemporaneità architettonica che non si gioca sullo stile dei fabbricati quanto sull’organizzazione degli spazi a beneficio della comunità.

«Sì. Il modo in cui lo spazio è strutturato è un tema centrale».

Di recente si è schierato contro le stanze panoramiche oltre i 1600 metri di cui si sta discutendo in Veneto per attrarre turisti in montagna. Ha detto che portano ad una omologazione del paesaggio.

«Esatto, più che il turismo oggi il grande tema è la ricostruzione dell’abitabilità. Bisogna capire che non c’è turismo possibile se non c’è comunità sul territorio. E sempre di meno le persone saranno interessate a “fondali” finti di questo tipo».