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L’analisi

Risparmi, “mettere da parte” ormai è un’impresa

Giuseppe Centore
Risparmi, “mettere da parte” ormai è un’impresa

Nel 2023 non si spende solo il 4% del reddito lordo. Il 25% degli italiani non ce la fa proprio

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Quanto risparmiano gli italiani? Poco. Non siamo più le formichine degli anni Sessanta-Settanta, né le cicale del decennio successivo. Nell’ultima relazione annuale, Bankitalia descrive il calo dagli anni 80 a oggi. Nel decennio 1981-1990 la media di risparmio delle famiglie consumatrici era del 20 per cento sul totale lordo disponibile: per uno stipendio allora lordo di 1,5 milioni di lire, la media comportava circa 300 mila lire al mese, soprattutto in titoli di Stato. Ed ecco il calo. Nel decennio successivo si è scesi al 14 per cento, dal 2001 al 2010 al 7,8, negli ultimi 10 anni al 5,9.  Nel 2023 si è al 4 per cento del reddito lordo.

Ma chi risparmia, perché lo fa e dove va la quota di risparmio degli italiani? Non tutti possono risparmiare. Per molti, la quota di risparmio è bassissima, mentre il 25% degli italiani non riesce a risparmiare proprio. Secondo il più recente rapporto Censis-Assogestioni, solo il 77% dichiara di riuscire a farlo. Tra loro il 39% riesce a mettere da parte al massimo il 5% del proprio reddito annuo. Il 33% arriva a risparmiare tra il 6% e il 15%, il 17% si spinge fino a un quinto delle proprie entrate annue, mentre poco più di un risparmiatore italiano su dieci è in grado di risparmiare oltre il 20% del proprio reddito.

Le ragioni del risparmio, pur articolato per redditi (e aree) sono diverse. Si va dalla minore attrattività del cash, non più percepito come la fonte prima di rassicurazione anche a causa dell’inflazione elevata; al ritorno dei titoli di Stato, percepiti come più capaci rispetto al passato di generare livelli di sicurezza adeguati ad un mondo ad altissima incertezza. A quello che Assogestioni e Censis chiamano «appannamento temporaneo del mattone», non più ai vertici delle attuali intenzioni di investimento, a cui si aggiunge «un ulteriore elemento: un’inedita ansia dei piccoli risparmiatori per la tenuta di fronte alle nuove sfide». Questa ansia si tramuta in «accentuate fibrillazioni nel rapporto quotidiano con i risparmi con richieste di cambiamenti in base a variazioni di breve periodo o, anche, la tendenza a farsi condizionare in modo poco razionale da eventi contingenti, improvvisi e dal clima che generano».

E così la metà dei risparmiatori risparmia per sentirsi più sicuro, il 36,8% per garantirsi una vecchiaia serena, il 28% per dare risorse future a figli o nipoti e il 22,6% per togliersi qualche sfizio. Alla richiesta di indicare cosa prova pensando al risparmio, il 38% ha indicato cautela, il 31,6% preoccupazione, il 22,8% senso di sicurezza e il 18% ansia. Il rapporto individua anche diversità di stati d’animo verso i propri risparmi: bassi redditi (40,7%) e chi risparmia fino al 5% del proprio reddito (43,3%) indicano come stato d’animo prevalente la preoccupazione che scema tra gli alti redditi (18,9%) e chi risparmia almeno il 15% del proprio reddito La paura su ciò che accade nel mondo ha come riflesso la convinzione (in realtà non basata su alcun elemento razionale e di mercato) che investire italiano e in Italia sia, tutto sommato, un modo per minimizzare i rischi. © RIPRODUZIONE RISERVATA