Ucciso a sprangate, contestato l’omicidio volontario ai vicini di casa di Stefano Daveti
Martedì l’autopsia disposto dalla procura di Reggio Emilia
Villa Minozzo L’accusa è pesante come un macigno: omicidio volontario. Questo, infatti, il reato contestato a Emore e Cristian Chesi, padre e figlio, vicini di casa di Stefano Daveti, morto dopo tre giorni di agonia per le sprangate prese venerdì 21 giugno, dentro alla sua abitazione di Morsiano. Cercava il silenzio del bosco, l’armonia con la natura l’ex professore di Arte di origine spezzina quando si era trasferito sull’Appennino reggiano, ma le cose sono andate in modo molto diverso. La convivenza è stata difficile in tutti questi anni, perchè l’integrazione con la comunità locale non è mai avvenuta. Infine, l’epilogo è stato tragico quando una lite, forse una delle tante, è culminata con un massacro che aveva lasciato la vita del 63enne ligure appesa un filo. Un filo che si è spezzato in un letto della Rianimazione di Parma.
I carabinieri della compagnia di Castelnovo Monti indagano. Si parte dal litigio, dalla versione dei due indagati – la telefonata di aiuto ai soccorsi sarebbe partita da loro – alle testimonianze di chi conosceva Daveti e anche i vicini di casa. Martedì verrà eseguita l’autopsia. La famiglia di Daveti composta dai fratelli Andrea e Renzo si è affidata all’avvocato di Sarzana Andrea Lazzoni. Valuteranno se nominare un perito di parte. A difendere i due indagati è l’avvocato del Foro di Reggio Emilia, Domenico Noris Bucchi, che nei giorni scorsi aveva dichiarato come i suoi clienti fossero «sotto choc e distrutte dal dolore». Dall’esame si attende di sapere quanti colpi sono stati inferti all’uomo, capire se i soccorsi sono stati chiamati subito. Dettagli che possono fare la differenza anche dal punto di vista del reato da contestare ai due vicini di casa. Renzo Daveti, fratello della vittima, ha espresso il desiderio di seppellire il 63enne a Villa Minozzo. Proprio in quella terra che non era riuscita ad avvicinarsi a quell’uomo alto, dai capelli bianchi, che negli ultimi tempi si era fatto tatuare una stella sulla fronte: un disegno da lui stesso creato.
Troppo stravagante, troppo fuori dagli schemi per essere compreso. A Morsiano per tutti era «il matto». Una definizione che i parenti e gli amici respingono. Il fratello Renzo dice che a suo modo, in modo pacifico, lottava contro l’ostilità che sentiva. Di certo, venerdì 21 giugno quei due mondi così lontani – quello di Daveti che si lavava nel ruscello dietro casa, cercando l’armonia con il Creato, e quello della comunità locale – si sono scontrati. Cosa abbia scatenato tanta violenza lo chiariranno le indagini dei carabinieri, coordinate dal pubblico ministero Maria Rita Pantani. E anche se in quelle sprangate c’era reale volontà di uccidere come il reato contestato sottenderebbe o se è possibile spiegare in un altro modo tanta brutalità nei confronti di quell’uomo che aveva scelto l’ex caseificio di Morsiano, come casa. Qui, aveva portato la sua arte, che gli faceva realizzare opere usando materiale di recupero. Secondo il fratello quella casa custodisce un museo bellissimo, per chi la vedeva da fuori invece era un accumulo di cose.l © RIPRODUZIONE RISERVATA