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Il caso

Fu trovato morto in piscina in Algeria: tutti assolti. La madre chiede la verità

Maria Vittoria Scaglioni
Fu trovato morto in piscina in Algeria: tutti assolti. La madre chiede la verità

Bonucchi era allenatore del Rolo: per l’autopsia rimase folgorato, ma la sentenza parla di malore. Ma la salma è tornata in Italia senza il cuore e un polmone

20 giugno 2024
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 Rolo Rumore. Questa è l’unica parola che può risuonare dopo una sentenza che lascia solo silenzio: l’assoluzione di tutte le persone coinvolte nella morte di Alex Bonucchi, modenese molto conosciuto nella Bassa reggiana per essere stato calciatore e allenatore del Rolo Calcio . Il 4 gennaio del 2021 Alex, che si trovava in Algeria come dipendente della ditta Sacmi di Imola, decide di rilassarsi nella piscina dell’hotel alla fine di una giornata di lavoro. Dopo aver appoggiato la mano a una parete nell’uscire dall’acqua, per la presenza di un filo scoperto, resta folgorato, all’età di 25 anni.

Seguono due autopsie, una algerina e una italiana, che dimostrano inequivocabilmente il decesso per folgorazione. Eppure la sentenza emanata dal tribunale di Algeri a febbraio di quest’anno assolve i titolari della struttura e decreta che la morte di Alex sia ascrivibile ad un malore. Da parte della giustizia algerina non c’è stata collaborazione, e a Barbara Degli Esposti, mamma di Alex, è chiaro che si stia tentando da anni di insabbiare la verità.

«Fin dall’inizio troppe cose non tornavano: per esempio la prima udienza avvenne in sordina, senza avvertire la famiglia né l’ambasciata italiana, a luglio del 2023. Se n’è accorto per caso il mio avvocato algerino, che si è trovato in mano un fascicolo chiuso e una sentenza emessa da loro senza avvertire nessuno». Inoltre, Barbara possiede gli atti della testimonianza rilasciata da un militare bielorusso, di cui nessuno si è preoccupato di trascrivere nome e cognome, e che è pertanto irrintracciabile, che si sarebbe trovato in piscina con Alex al momento dell’accaduto, ma che ha fornito due versioni diverse.

«Nella prima testimonianza affermava di essere in piscina con Alex e di averlo visto appoggiarsi alla parete e al filo scoperto, restando folgorato; successivamente, invece, è stato detto che si trovava in palestra ed era arrivato dopo il decesso». L’aggancio per parlare di malore è stata la scatola di calmanti per tachicardia di cui talvolta Alex faceva uso e che teneva sul comodino nella camera dell’albergo. «Da qui hanno iniziato a dire che mio figlio era cardiopatico. Il punto è che anche se fosse vero, un cavo scoperto non può stare vicino all’acqua. La responsabilità c’è comunque».

Nessuna proposta di risarcimento è arrivata dai titolari dell’albergo. La giustizia italiana invece si è dimostrata indifferente. «Il mio nuovo avvocato, che ci segue da un mese, sta facendo il possibile. Ha presentato un’istanza a Roma, ma deve ancora ricevere risposta». La Farnesina non si è mai fatta sentire e nemmeno ha risposto ai continui tentativi di contatto effettuati da Barbara. «Mi ripetono che sono le autorità algerine a doversi occupare del processo, ma mio figlio era italiano ed è tornato a casa senza il cuore e il polmone destro. Lo Stato deve fare qualcosa».

Quando Barbara ha chiesto spiegazioni sullo stato della salma le è stato risposto che avrebbero trattenuto gli organi per ulteriori accertamenti, dei quali però nessuno ha mai conosciuto i risultati. «Ho chiesto la restituzione degli organi di mio figlio e la risposta è stata che li avevano seppelliti dopo dodici mesi in un cimitero algerino, senza nessun consenso né autorizzazione. Queste sono le leggi a cui mi dovrei affidare?». D’altra parte, come ci si può aspettare una giustizia coerente coi valori della nostra Costituzione in un Paese che ancora lotta per l’affermazione dei diritti umani di base? «Io e mia figlia ci siamo recate in Algeria, dove siamo guardate con sdegno per il fatto di essere donne. Per loro non abbiamo voce in capitolo». Dopo tre anni e mezzo di silenzio Barbara non ce l’ha più fatta.

La sentenza di assoluzione è stata davvero troppo. «In questi casi, che valicano i confini nazionali, non si può fare nulla. Si può solo morire». Intanto ogni anno la squadra di Alex gioca un torneo di calcio nel suo ricordo, mentre gli amici della Madonnina, il suo quartiere, si recano a casa sua per festeggiare, assieme ai famigliari, il compleanno. «Persone che non conosco mi scrivono messaggi perché la vita di Alex ha incrociato le loro, lasciando una traccia». La memoria di Alex non può morire: deve rimanere viva, assieme alla possibilità di ottenere giustizia. «Vorrei parlare con il sindaco di Modena Mezzetti, organizzare una fiaccolata… Solo arrivando ai piani alti dello Stato qualcosa potrà cambiare e io continuerò a fare rumore».l © RIPRODUZIONE RISERVATA