«Il consumatore Gen Z è attento e nel pasto cerca la convivialità»
L’intervista alla direttrice marketing e comunicazione di Cirfood Daniela Fabbi
Il progetto Scuola 2030 ha portato le aziende nelle scuole: la prima esperienza ha aperto le porte del liceo Moro a Cirfood, leader nel panorama della ristorazione collettiva. Durante l’incontro abbiamo avuto modo di intervistare Daniela Fabbi, Direttrice Comunicazione e Marketing di Cirfood, che ha condiviso la sua esperienza e le sue conoscenze nel campo del marketing, offrendo uno sguardo privilegiato sul mondo aziendale e sulle sue dinamiche. Un importante richiamo è stato fatto al valore della cultura e della formazione, che non esclude alcun percorso di studi e accentua, al contrario, l’importanza di intraprendere anche studi umanistici, ad oggi svalutati in favore di materie scientifiche, ritenute comunemente in grado di offrire più sbocchi lavorativi.
Come nasce Cirfood e cos’è diventata nel tempo?
«Cirfood nasce alla fine degli anni ‘50, quando un gruppo di persone coglie il bisogno di offrire un servizio, ovvero la pausa pranzo, ai lavoratori. Da un primo embrione di impresa cooperativa oggi siamo un’impresa di 12mila persone che produce 100 milioni di pasti, un’impresa di “persone per le persone”, leader nel settore della ristorazione collettiva, investita della responsabilità di nutrire i bambini nelle scuole, gestire i dipendenti dei ristoranti aziendali, ma anche e soprattutto – visto che l’Italia è un Paese che sta invecchiando –, gli ospedali e le case di riposo. A oggi Cirfood ha anche servizi di ristorazione commerciale e di welfare».
Cosa rende Cirfood leader nel settore?
«Secondo me la qualità, l’autenticità dei servizi che eroga, la distintività delle persone che ci lavorano, che hanno certamente una professionalità, ma anche e soprattutto una responsabilità nel provare a portare un valore aggiunto alla società, trovando soluzioni che possono migliorare gli stili di vita altrui. Ad esempio, un’iniziativa che ci piacerebbe promuovere e che Cirfood ha già proposto è portare nelle scuole l’educazione alimentare affinché diventi una materia di studio, facendo conoscere i territori, le materie prime, gli alimenti, le diverse tradizioni e sapori, la lotta allo spreco. Ma anche l’inclusione, l’accessibilità al cibo, il diritto alla nutrizione che noi diamo per scontato ma che spesso non lo è: anche in Italia le mense scolastiche non esistono ovunque. E quando durante il lockdown le mense si sono fermate, secondo i dati raccolti da una ricerca che abbiamo promosso, si sono verificati due fenomeni gravi: da una parte un significativo aumento di peso del bambini, documentato dalle stesse mamme, dall’altro una crescita di casi di malnutrizione. Il primo fenomeno ha aggravato un cattivo primato che l’Italia detiene, cioè il tasso di obesità giovanile più alto d’Europa. Per quanto riguarda l’altro fenomeno, invece, Save the Children denuncia che 160mila bambini in Italia sono rimasti senza l’unico pasto sano e completo della loro giornata per problemi economici. Questo indica anche il valore di welfare sociale della ristorazione collettiva: le mense scolastiche infatti, danno almeno un pasto completo a tutti, in modo accessibile. Purtroppo in Italia le mense non sono ancora distribuite in modo omogeneo e Cirfood si propone l’obiettivo di nutrire il futuro di tanti, anche in luoghi diversi».
C’è un grande investimento sui giovani e la vostra promessa è “Feed the future” (“Nutrire il futuro”). Come si presenta il consumatore GenZ?
«Secondo le nostre ricerche, il consumatore Gen Z è prima di tutto molto attento, cioè conosce quello che mangia e lo va anche a scegliere e cercare. Ovviamente ha un portafoglio di spesa non elevatissimo, quindi nei consumi fuori casa cerca più che altro la tradizione, molto nella trattoria tipica. Ma la cosa più significativa che abbiamo riscontrato è che il consumatore Gen Z esalta il momento della convivialità: il pasto è un momento per stare insieme, per relazionarsi con gli amici e anche con il proprio partner. Un altro aspetto che emerge è l’attenzione dei giovani a tutte le tematiche del clima, della sostenibilità, e la conoscenza accurata dei luoghi di provenienza dei prodotti. Sono anche attenti alla loro immagine e alla loro salute e quindi a quello che vogliono consumare: spesso osservano se hanno a che fare con prodotti locali piuttosto che con prodotti biologici. Sono molto informati anche su tutte le tematiche di filiera, dato che non mi aspettavo e mi ha sorpresa».
In che modo e perché oggi neodiplomati e neolaureati dovrebbero decidere di entrare all’interno di questo settore?
«Penso che ci voglia una grande passione per fare questa professione. L’avvento dei programmi televisivi di cucina ha sicuramente accresciuto l'attenzione verso questo settore, favorendo l’aumento delle iscrizioni agli alberghieri. La ristorazione collettiva, a differenza del lavoro in un ristorante, può avere il vantaggio di conciliare più facilmente lavoro e vita privata, aspetto che oggi la Gen Z richiede. In un ristorante si lavora sempre la sera e il sabato e la domenica, quando gli altri si divertono. La ristorazione collettiva, invece, coinvolge il lavoratore soprattutto durante pausa pranzo, sia nelle scuole che nelle aziende. Quindi la sera è libera e, tendenzialmente, lo sono anche sabati e domeniche. Un giovane desideroso di entrare nel mondo della cucina, con l’obiettivo di sperimentare e conciliare la vita e il lavoro, può trovare quello che cerca nella ristorazione collettiva e magari diventare un grande chef di aziende».
*Studentesse del liceo Moro