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La storia

«Nella nostra famiglia arcobaleno adesso siamo entrambe mamme»

Serena Arbizzi

	Fabiana Montanari con in braccio la piccola e  Samantha Campani
Fabiana Montanari con in braccio la piccola e  Samantha Campani

Samantha Campani ha ottenuto l’adozione speciale della piccola di tre anni e mezzo attesa e cresciuta dai primi giorni di vita con la madre biologica, Fabiana Montanari

22 aprile 2024
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Reggio Emilia «Dopo anni di lotte, di battaglie legali e sofferenze, sono finalmente mamma della nostra piccola di tre anni e mezzo. Quando l’ho saputo sono scoppiata a piangere per la felicità». Samantha Campani dopo un lungo procedimento giuridico ha finalmente ottenuto l’adozione speciale della bimba di tre anni e mezzo: un importantissimo traguardo che costituisce un grande passo per la sua famiglia arcobaleno rappresenta una grande tappa per la conquista dei diritti civili di tutti.

Samantha, 51 anni, è sposata con Fabiana Montanari, 32. La coppia sta insieme da anni e nel 2020 la loro unione è stata ulteriormente allietata dalla piccola che ora ha tre anni e mezzo, data alla luce da Fabiana: è una bimba dolcissima e vivace, amata e coccolatissima dalle sue mamme. Dalla nascita della bambina Samantha ha affrontato con determinazione un percorso che talvolta si è trasformato in un’odissea. E ora racconta, con indescrivibile gioia, la lotta da cui è uscita vincitrice.

Cos’è successo, Samantha, dopo l’arrivo della vostra bambina, sul fronte del riconoscimento del suo diritto di madre?

«Sono diventata mamma tre volte: la prima quando è nata, la seconda quando il sindaco Luca Vecchi ha firmato l’atto di riconoscimento genitoriale, nel dicembre 2020. La terza con l’accoglimento, pochi giorni fa, dell’adozione speciale».

Facciamo un passo indietro: perché è stata necessaria l’adozione speciale e in cosa consiste?

«Poche settimane dopo il riconoscimento genitoriale datomi dal sindaco, nel dicembre 2020, il giorno dell’Epifania del 2021 ci è arrivata la comunicazione del tribunale con cui ci dicevano che avremmo dovuto ritirare una lettera... La Procura aveva impugnato il nostro caso, negando il mio diritto di essere madre».

Poi cos’è accaduto?

«Il primo grado di giudizio non è andato bene. Piuttosto che ricorrere in appello, abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’adozione speciale. Si tratta di un istituto giuridico che si applica anche per le coppie eterosessuali per adottare i figli del partner. La nostra tipologia è un’adozione speciale in casi particolari».

Quali le tappe?

«Tramite la nostra avvocata abbiamo presentato richiesta di adozione al tribunale dei minori di Bologna. Abbiamo dovuto fare più incontri in cui si sono svolti colloqui con le assistenti sociali e la psicologa infantile. Ci è stato richiesto di raccontare la nostra storia. Inoltre, sono venute a casa nostra per conoscere la bambina e vedere l’ambiente famigliare. Nonostante le assistenti sociali siano state molto gentili e abbiano detto da subito che la nostra era una situazione particolare perché la bambina viveva già con entrambe, non è certamente stata una passeggiata attraversare tutto questo. Hanno scavato a fondo sulla nostra infanzia, hanno fatto domande sulla nostra relazione e hanno attraversato la nostra intimità. Ricordo di avere anche pianto dopo uno degli incontri. Durante l’ultimo incontro ci hanno letto la relazione stilata. Sono seguiti dei colloqui con il giudice onorare, il quale fa un’ulteriore relazione e vi è un ulteriore momento di confronto del tribunale dei minori a livello collegiale».

Come ha scoperto che il percorso era andato a buon fine?

«Il giorno in cui l’avvocata ci girò la Pec, arrivata un anno dopo la richiesta di adozione, con la sentenza del tribunale dei minori, io e Fabiana ci siamo accordate per leggerla alla sera. Per cena avevamo ospiti, ho cercato di comportarmi normalmente: ho preparato da mangiare, tutto si stava svolgendo normalmente quando all’improvviso Fabiana ha esordito dicendo: «Samantha è mamma». In quel momento sono scoppiata a piangere. È stata un’emozione indescrivibile accompagnata da una felicità che non si può misurare. In quell’istante ho rivissuto tutta la tensione accumulata e ho capito che ero finalmente mamma».

Un enorme gioia, dunque, affiancata anche da conseguenze sul piano pratico?

«Sì, le pratiche burocratiche sono più semplici e meno umilianti da affrontare. Non ho più bisogno di deleghe per andare all’ospedale o viaggiare con la bimba, ad esempio».

Cosa serve a Reggio e al Paese per diventare una realtà a misura di diritti?

«Occorre intervenire nelle scuole: devono educare a 360 gradi alla libertà, che è quella di tutti. Manca, poi, una comunicazione più diretta fra istituzioni e cittadini. Combatto da quando sono nata: voglio che si sappia che l’omosessualità non è una questione di scelta». 

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