Gazzetta di Reggio

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L’intervista

Il battitore di forme di Parmigiano Reggiano, un mestiere per 21 persone al mondo

Beleesia Osei Mensah e Bance Bariatou*
Il battitore di forme di Parmigiano Reggiano, un mestiere per 21 persone al mondo

Alessandro Stocchi: «È un patrimonio culturale che la generazione Z deve portare avanti»

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Nel mondo del Parmigiano Reggiano, quello del battitore è più di un mestiere: è un'arte che unisce tecnica e udito. Alessandro Stocchi lo è da dieci anni e si dedica a valutare mille forme al giorno. Con solo 20 battitori come lui in Italia, anzi al mondo, il suo ruolo è cruciale per mantenere la tradizione e l'autenticità del Parmigiano Reggiano. Utilizzando un martello fatto a mano, tramandato di battitore in battitore, e la propria esperienza, Stocchi individua le imperfezioni garantendo la qualità del prodotto. Imparando i dettagli fondamentali, come il riconoscimento delle rotture nella pasta, è uno dei pochissimi custodi della perfezione del Parmigiano Reggiano, simbolo dell'artigianato del nostro territorio.

Come valuta il Parmigiano Reggiano un battitore?

«Il nostro esame non è invasivo, nel senso che per vedere se una forma ha dei difetti, cioè capire se presenta cavità all’interno, non abbiamo bisogno di tagliarla o di forzarla. Utilizziamo il martello per testare la qualità del Parmigiano Reggiano e la capiamo dal suono che produce la forma battuta».

Lei come ha imparato il mestiere?

«Non esiste una scuola per diventare battitori, è un mestiere che ancora oggi viene tramandato. Quindi si inizia ad imparare con i battitori anziani, che hanno molta esperienza e pian piano ti insegnano come funziona il meccanismo. Poco alla volta ti danno il martello in mano e, nel momento in cui ti ritengono preparato, ti dicono “hai imparato? Sei pronto? Adesso tocca a te”».

Lei perché ha scelto questo lavoro?

«Perché era un mestiere che mi incuriosiva e affascinava. Sono sempre stato molto legato al mondo agricolo e in generale al nostro territorio. Il Consorzio cercava un nuovo giovane da inserire quindi mi sono lanciato».

Quali sono le sfide che affronta ogni giorno?

«In particolare, quella di fare molto attenzione da una parte ai produttori e dall’altra ai consumatori. Devo sicuramente muovermi sui “binari” giusti per fare in modo che siano rispettati e tutelati».

Qual è la parte che preferisce della sua professione?

«Ci tengo a dire che è un mestiere che tutti i giorni dà la possibilità di imparare qualcosa, perché, come dicevamo prima, il formaggio è una sostanza viva, naturale e artigianale. C’è una grande ricerca dietro alla capacità di capire la partita che ho davanti e il tipo di formaggio, che tutti i giorni è diverso. Le condizioni del magazzino, l’umidità e la temperatura sono differenti quindi cambiano anche il suono di ogni singola partita. È bello anche il rapporto che si crea con i produttori quindi mi piace parlare con le varie figure nelle latterie e nei caseifici. Mi piace anche il fatto che la mia sia una certificazione importante quindi avere la responsabilità di chiudere il processo produttivo della nostra DOP».

Secondo lei il suo è un lavoro che la nostra generazione porterebbe avanti?

«Sicuramente sì e me lo auguro alla grande. È davvero importante perché è uno di quei mestieri che sono veramente unici del nostro territorio: solo noi facciamo queste operazioni quindi è davvero un patrimonio culturale e per questo, secondo me, deve essere qualcosa che dovrà andare avanti anche con la vostra generazione».

Cosa pensa che distingua il Parmigiano Reggiano dalle altre tipologie di formaggi?

«Le differenze sono tantissime e sicuramente gli elementi principali sono legati a quello che il nostro Disciplinare ci impone riguardo all’alimentazione delle nostre bovine. Quindi fieno ed erba fresca, che devono provenire minimo per il 75% dalla nostra zona di origine, a testimonianza del legame con il territorio molto forte. A renderci unici è anche il fatto che vengono utilizzati solo latte crudo, caglio e sale, che non si possono utilizzare né additivi né conservanti, e soprattutto quel fattore umano che è stato sviluppato in centinaia di anni di tradizione».

Il caseificio è obbligato a chiamare il battitore per valutare le proprie forme?

«Assolutamente sì. Tra l'altro, non è che lo chiama: siamo noi battitori che, conoscendo i registri di produzione, sappiamo quello che il caseificio ha prodotto e ci andiamo quando quelle forme compiono 12 mesi. Senza di noi, il casaro non ha nulla che dice che ha prodotto Parmigiano Reggiano».

Ci sono donne che fanno questo mestiere?

«L'anno scorso, per la prima volta in 90 anni di Consorzio una ragazza ha iniziato a svolgere questa professione. Il nostro mondo, seppur a prevalente presenza maschile, include donne e in ogni ruolo e, dall’anno scorso appunto, anche in battitura». l

Studentesse dell’istituto Motti