Gazzetta di Reggio

Reggio

L’intervista

L’empatia vive nell’arte di Giovanna Zampagni

L’empatia vive nell’arte di Giovanna Zampagni

L’adottiva Reggio Emilia è la sua città della metamorfosi «La performance è dietro ad ogni singola opera che creo»

4 MINUTI DI LETTURA





Reggio Emilia La giovane artista Giovanna Zampagni, nata e cresciuta a Matera, nota per aver partecipato a molte iniziative artistiche sul territorio reggiano, racconta della sua esperienza e di come l’arte, specialmente a Reggio Emilia, l’abbia condizionata per sempre. Inizia la sua carriera artistica frequentando l’Accademia di Belle Arti a Bari, specializzandosi poi in Storia dell’arte all'Università degli studi di Roma “Tor Vergata”.

Dopo la pandemia di Covid diventa insegnante al liceo artistico “Gaetano Chierici”, dove incontra colleghi che arricchiscono sempre di più la sua esperienza, tanto da arrivare a definire Reggio Emilia come “la sua città di metamorfosi” che l'ha vista come donna, insegnante e soprattutto artista. L’abbiamo intervistata.

Qual è il lavoro che le ha dato più soddisfazione in campo artistico?

«Quello che mi ha portato più soddisfazione è stata la scoperta della performance art. I miei lavori sono molto interattivi con le persone che mi stanno intorno: siamo nel 2024, bisogna andare oltre la pittura o la scultura, per raggiungere un livello empatico con l’altro. L’esempio perfetto, per me, di artista performativa che ho potuto incontrare è Marina Abramovic: è stata una scoperta unica, mi sono sentita vibrare internamente. Era impossibile da raggiungere ma vedevo in lei un riflesso di me. A Reggio Emilia a “Fotografia Europea” ho partecipato con il tema dell’inquieto e sempre in città, a Villa Zironi, con la mostra “Con tatto con amore”, la mia performance ha visto un momento di culmine, di apice, ma anche la conclusione di un percorso».

Dove trova le ispirazioni per le sue performance? Come arriva a crearle?

«Ho studiato la mia prima performance per l'Expo di Milano nel 2015, il tema era l’acqua come vita e ho iniziato cercando di capire dove la potessi trovare. Sono arrivata alla conclusione che il nostro corpo è fatto d’acqua, così ho progettato come poter avvicinare l’idea della densità del corpo come acqua ad essa come esperienza. La performance, quindi, nasce da un percorso di studio, progettando, individuando un problema e interpretandolo attraverso un gesto, un linguaggio che possa andare a sostituire parole o pitture. Si crea così ma diventa performance vera e propria solo con il visitatore».

Invece il percorso che l’ha portata a “Fotografia Europea qual è stato?

«In “Fotografia Europea” l’idea della performance nasce proprio dal ballare nella mia camera da letto, diventando compiuta e poi concreta grazie alla presenza dell’altro. Come anche in “Con tatto con amore”, attraverso le “confessioni”, cioè l’incontro con l’artista, andando a confidare un segreto a una persona sconosciuta nascosta dietro a un vetro per esorcizzarlo. Non è solo l’azione di ballare o confessare, la performance è dietro ad ogni opera che creo, è fatta di memoria, riporta i miei ricordi o pensieri in una scultura o altro relativa alla storia dell’arte. Performance è il fare durante il processo creativo, ogni azione e ogni opera sono fatte di un momento performativo, dove anche l’ambito in cui scelgo di lavorare mi può dare energia».

Qual è la mostra di Reggio Emilia che l'ha soddisfatta di più?

«Quella che mi ha soddisfatta di più è stata la mia mostra personale a Villa Zironi, che illuminava il mio percorso, studiato sulle diverse tipologie d’amore. Tra le installazioni più significative, la prima che trovavi erano i cioccolatini raffiguranti parti del mio corpo, il quale, diventando edibile, poteva essere ingerito, così da rappresentare il primo tocco d’amore. Il prestarsi ad “assaggiare” l'altra persona che sta comunicando, ascoltandoti e quindi “ingerendoti”. In un’altra un’installazione, questa volta in gesso, vi erano i miei “resti” e del mio compagno: l’ho chiamata “Resta” proprio per indicare il fatto di restare insieme dopo diverso tempo di convivenza. Questo era rappresentato da unghie, capelli e peli uniti in un blocco di argilla. Vi furono critiche interessanti che fecero pensare ma l’arte contemporanea è questo: riflettere su quello che vediamo ogni giorno.

Per me tutto parte dal disegno, la parte più importante, lo faccio tutti i giorni da qualsiasi parte, parto con piccoli schizzi e cerco di riviverli».

Cecilia Giorgini
Martina Santangelo
Aurora Valli

Studentesse del liceo Chierici

© RIPRODUZIONE RISERVATA