Troppo intelligente?
L’intelligenza artificiale sta già migliorando le nostre vite ma le sue applicazioni preoccupano...anche la scuola
Altro che fantascienza. L’intelligenza artificiale fa già parte della nostra vita di tutti i giorni. Come quando per sbloccare lo smartphone usiamo il riconoscimento facciale. O quando apriamo Netflix e troviamo i film suggeriti per noi sulla base dei nostri gusti. O ancora quando chiediamo ad Alexa di cambiare canzone comodamente dal nostro divano. La Gen Z è la prima della storia che per i compiti usa Chat GPT, il chatbot che in una manciata di secondi può fare una ricerca, scrivere un testo e anche risolvere un’equazione. Così in questo inserto, che vede diversi studenti analizzare opportunità e rischi della rivoluzione chiamata intelligenza artificiale, un professore di Reggio Emilia (Daniele Castellari del liceo Moro) ammette «l’inquietudine che serpeggia nel mondo della scuola, diciamo pure degli insegnanti: la possibile contraffazione di contenuti prodotti dalle macchine e sottratti al doveroso e faticoso lavoro di apprendimento da parte degli studenti». Lo fa rifiutando categoricamente il ruolo di docente-poliziotto, ma offrendo all’insegnamento un ruolo nuovo. «Esautorati dal potere delle risposte, ci viene consegnata l’opportunità di abitare lo spazio delle domande» le parole del professore in un dialogo a distanza con gli studenti reggiani protagonisti di Scuola2030. Parole che faranno contenti molti, come Filippo Simonelli, che su queste pagine qualche settimana fa ha criticato proprio il nozionismo della scuola. «Secondo me – aveva scritto – i professori dovrebbero operare al contrario di come fanno, cercando di tirare fuori anziché inculcare dentro». Come disse il filosofo rinascimentale Michel De Montaigne, «è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena».
*Responsabile Progetto Scuola2030