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La stanza che diventa una prigione Il fenomeno Hikikomori tra i ragazzi

Irene Paterlini, Agnese Dalsasso, Sava Gjikola*
La stanza che diventa una prigione Il fenomeno Hikikomori tra i ragazzi

Nei mesi scorsi la Camera ha riconosciuto questo fenomeno

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Lo scorso 18 ottobre la Camera ha approvato la mozione che riconosce l’Hikikomori, esprimendo la necessità che le istituzioni intervengano per dare una risposta a questo fenomeno. Augusta Montaruli, vice capogruppo di Fratelli d’Italia, nonché prima firmataria della mozione, ha affermato che il passo successivo da compiere sia definire un protocollo che individui con chiarezza le caratteristiche di questa forma estrema di ritiro sociale e da cui successivamente discenderanno le linee di intervento.

Il fenomeno dell’Hikikomori nasce in Giappone alla fine degli anni ‘90. Il significato letterale del termine è “stare in disparte”, “chiudersi”, e viene utilizzato per riferirsi a coloro, soprattutto adolescenti, che decidono di abbandonare le attività sociali per periodi di oltre sei mesi, isolandosi nella propria abitazione o stanza senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori. I ritmi di sonno/veglia sono stravolti, così come l’alimentazione e il movimento fisico, inoltre è alto il rischio di sviluppare tendenze autodistruttive, come autolesionismo e abuso di sostanze. I soggetti hikikomori odiano la propria vita siccome, in seguito a questi ritmi e tendenze, in loro si insinua l’ansia del tempo perso e la sensazione di impotenza.

Lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione Hikikomori Italia, afferma che alla base di questa condizione ci sia un disagio adattivo sociale. Gli hikikomori sono giovani che sperimentano una forte ansia sociale, faticano a relazionarsi con i coetanei e ad adattarsi alla società, sono spesso molto intelligenti ma di carattere introverso e introspettivo, sensibili e convinti di stare meglio da soli. Un’altra causa può essere rappresentata dal rapporto difficile con i genitori; questi ultimi talvolta non rispettano le necessità e i disagi del ragazzo, in altri casi sono anche iperprotettivi.

Infatti, togliendo ai ragazzi la possibilità di sviluppare le competenze necessarie per passare all’età adulta, proteggendoli eccessivamente e impedendo loro di compiere errori, di fatto li si porta al fallimento di uno step evolutivo. Per questo motivo gli hikikomori hanno la profonda paura di vivere la loro vita e si ritrovano a vivere in un limbo digitale nel quale si collegano al mondo esterno solo tramite internet.

Uno studio condotto dall’Ifc(Istituto di fisiologia clinica) di Pisa documenta la presenza di 44.000 studenti italiani definiti hikikomori e 67.000 giovani a rischio grave di diventarlo. L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, mentre per quanto riguarda il genere, sono soprattutto le ragazze ad isolarsi. L’incremento dei casi, negli ultimi due anni di pandemia, tra distanziamenti e lockdown, è stato del 75%: la terapia a domicilio e quella online non erano pratiche comuni prima della pandemia e mancavano le reti a sostegno degli psicoterapeuti che si occupavano di ritiro sociale, reti che in anni recenti sono state successivamente attivate.

L’associazione principale che si occupa di questo malessere è la già citata “Hikikomori Italia”, il cui obiettivo è quello di informare, sensibilizzare e accendere una riflessione sul fenomeno. Lo scopo è quello di capire, non curare. Affrontare il problema senza stereotiparlo e senza giudicare.

Un secondo obiettivo dell’associazione è quello di fornire ai ragazzi italiani che sono vicini a un hikikomori, così come ai genitori che hanno un figlio in questa condizione, la possibilità di potersi confrontare attraverso spazi online o in presenza all'interno dei gruppi di supporto psicologico.

*Studenti del liceo Canossa