Come essere se stessi offline ai tempi della dittatura digitale
La ricerca di approvazione sui social fa perdere di vista le priorità imponendo standard e pressioni di cui ora è tempo di liberarsi
Reggio Emilia Negli ultimi dieci anni, i social network hanno assunto un ruolo predominante nella nostra società, trasformando radicalmente il modo in cui comunichiamo. In un mondo pieno di brutture (forse, ma è quello che ci fanno credere), si è sempre più bombardati da standard, mode, “fake news” e terrore. Pertanto, di noi, del nostro mondo interiore, non rimane più nulla: il nostro oggi è il riflesso di una dittatura dei social media e i giovani sono le principali vittime. Quante volte si vedono in giro ragazzi vestiti tutti con le stesse scarpe o con tagli di capelli identici, alla ricerca dell’approvazione del gruppo, per non essere più soli? Mostrarsi vulnerabili o, semplicemente, sé stessi, è diventato un lusso e la solitudine il male assoluto: piuttosto che trascorrere un momento da soli, si preferisce soffocare nella superficialità e nel conformismo. Spegnere la lampadina. Si tace davanti ai più grandi scempi e si diventa cattivi. Il male di vivere e le nostre fragilità ci hanno portato a cercare non compagnia e amicizie, ma l'approvazione sui social. È una continua gara per raggiungere una vetta virtuale, assolutamente futile, tuttavia, di importanza cruciale: si vive all’ordine del “digito, ergo sum”. Esisto solo se ho Instagram, se seguo le mode e se faccio gruppo sul negativo. Si parla tanto di inclusione e di gentilezza, ma la realtà è ben più complessa. Quando si tratta di agire concretamente, spesso, staticamente, ci si tira indietro. Si vota meno (e magari chi fa la battuta migliore o chi fa più scena) e si pensa spesso con la pancia. Questo è il paradiso degli analfabeti funzionali. Non è colpa loro, ma della dittatura sanitaria o delle piogge acide. Così credono. Gli analfabeti funzionali non sono più capaci di leggere un articolo e coglierne il significato. E fermandosi a un piano superficiale, subiscono inconsciamente il monopolio dei social media, che pertanto sono diventati strumenti di massa: se potevano servire a diffondere informazioni, attualmente ci stanno trasformando in prosciugatori di emozioni, in “sensation seekers”. Gli analfabeti funzionali colgono, pertanto, l’occasione di spegnere la mente e ricercano le emozioni più forti possibili per trarre qualcosa dalla vita, che appare loro noiosa e senza senso. Di conseguenza, non si parla più e non si trasmettono più valori importanti. In preda all’incomprensione e alla fragilità del tempo, i giovani e gli adulti non sanno più come muoversi: trasformano la realtà, proiettano problemi e, quando si rendono conto di compiere un errore, allora tutto il loro mondo fatato crolla su sé stesso. Io, a 16 anni, sento fortissime le pressioni sociali e gli standard che dovrei seguire. Odio che mi vengano imposte regole e atteggiamenti, solo per i “like” sui social. Voglio essere quella che sono, anzi è un mio diritto. Come lo è non venire giudicata per come mi presento, per come mi vesto o, semplicemente, per come sono fatta. Ciò vale per tutti, giovani e adulti: essere sé stessi è solo un altro passo per raggiungere una certa consapevolezza personale, non credendo a ogni cosa che passa e riscoprendo valori come il dialogo, il confronto e la solidarietà. Come fare, quindi, per rimanere sé stessi? Innanzitutto, bisogna allontanare i pregiudizi e occuparci di una nostra ricerca interiore di valori e desideri. Poi, cercare di essere gentili. Ciò non significa subire, ma essere aperti all’altro e al mondo: così cambierà il nostro modo di pensare il futuro. Infine superare tutta la bruttura e la paura, a cui siamo soggetti tutti i giorni. Solo così riusciremo a vedere ciò che ci accade di bello quotidianamente e ad essere, finalmente, felici.
*Studentessa del liceo Canossa