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Dalla vigna alla tavola

«Lambrusco, patrimonio da tutelare»

Martina Riccò
«Lambrusco, patrimonio da tutelare»

L’assessore regionale Alessio Mammi fa il punto sul settore vitivinicolo

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Lambrusco nel mondo. Come è cambiata percezione di questo vino? Quali strategie in campo?

Lo abbiamo chiesto ad Alessio Mammi, assessore regionale ad agricoltura e agroalimentare. «Il Lambrusco – afferma – è un vino conosciuto e amato in tantissimi paesi del mondo, e si è fortemente evoluto in questi anni, dimostrando sempre più attenzione alla qualità. La Regione sta spingendo sulla sua promozione, lavorando per mantenere e incrementare mercati importanti come Canada, Stati Uniti e Giappone, dove in novembre faremo un’importante missione guidata dal presidente Bonaccini. Sarà con noi anche l’Enoteca regionale, l’associazione che riunisce tutti i consorzi e i produttori vinicoli dell’Emilia-Romagna e che è finanziata attraverso una legge regionale».

E in Europa?

«Anche il mercato europeo è molto interessato al nostro Lambrusco, in particolare Germania e Regno Unito (oggi da considerarsi extra europeo), dove i principali appassionati di Lambrusco, secondo una ricerca commissionata da Bibendum, sono i più giovani: ben il 48% dei consumatori è tra i 18 e i 45 anni».

Su tutto il territorio provinciale proprio in questi giorni siamo in piena vendemmia. Quali sono i dati del vino in Emilia-Romagna e in particolare in provincia di Reggio?

«L’Emilia-Romagna esprime numeri molto importanti in ambito vinicolo, da Piacenza a Rimini. In attesa di vedere come andrà quest’anno, con la vendemmia 2022 si son prodotti 8,2 milioni di quintali di uva su 53 mila ettari di vigneti del territorio regionale, in circa 16 mila imprese. L’Emilia-Romagna con le sue 30 denominazioni d’origine vanta un volume d’affari che si aggira attorno ai 490 milioni di euro, e numeri ben più ampi per la restante produzione regionale. Le province a maggior produzione vinicola sono Ravenna (30,6%), Modena (16.2%) e Reggio Emilia (15,9%). Nel Reggiano la superficie vitata negli ultimi 10 anni è aumentata in modo costante: dai 7.413 ettari del 2013, siamo passati a 8.536 ettari, coltivati da 2.340 aziende agricole del territorio. Una ricchezza economica, sociale e ambientale di grande valore».

Qual è il quadro del sistema vinicolo emiliano- romagnolo?

«Nella nostra regione, che è il cuore agroalimentare del paese, esiste una filiera del vino molto strutturata che va dalla produzione in campo, alla trasformazione in cantina, ai grandi numeri verso l’export mondiale, al mercato delle cantine indipendenti. Si tratta di un grande patrimonio che deteniamo grazie al lavoro incessante degli agricoltori e dei produttori. Come Regione supportiamo la produzione vitivinicola con circa 25 milioni di euro ogni anno, in particolare con la ristrutturazione e riconversione dei vigneti (12 milioni di euro), gli investimenti nelle cantine (7 milioni di euro), la promozione dei vini a denominazione d’origine e indicazione geografica verso mercati extra Ue (6milioni di euro)».

I vitigni della regione Emilia-Romagna sono stati messi a dura prova dagli effetti dei cambiamenti climatici, per buona pace di chi si ostina a non accettarli. Questa nuova condizione del clima cambierà la produzione di uva e vino?

«Da quando faccio l’assessore all’agricoltura ogni sei mesi mi trovo ad affrontare una crisi causata dai cambiamenti climatici, e gli effetti li abbiamo sotto agli occhi ogni giorno. Gelate tardive, alluvioni, fitopatie, siccità: sono davvero tanti i drammi che si abbattono sulle produzioni agricole, e i vigneti non fanno eccezione. Le gelate tardive di fine aprile hanno causato danni fino all’80% alla frutticoltura, colpendo anche le vigne. L’alluvione di maggio ha messo in ginocchio molti vigneti in Romagna. Le grandinate e trombe d’aria di luglio hanno colpito a macchia di leopardo tutta la regione. C’è bisogno che il Governo intervenga con proprie risorse e deroghe al decreto legislativo 102/2014 per indennizzare gli agricoltori. I cambiamenti climatici in agricoltura si contengono attivando sistemi di protezione meccanica sulle produzioni e insistendo sulla ricerca per trovare soluzioni innovative e rendere le produzioni più resistenti. Come Regione stiamo finanziando entrambi gli interventi».

In Emilia-Romagna, così come in tutto il Nord Italia, i vigneti sono purtroppo alle prese con i problemi causati da flavescenza dorata e peronospera. Cosa sta facendo la Regione?

«Nei mesi scorsi abbiamo innalzato di molto il livello di guardia: abbiamo messo in campo 15 esperti fitosanitari per fare affiancamento in vigna per riconoscimento dei sintomi; abbiamo effettuato circa 200 controlli su un campione individuato di 1.800 vigneti e altri monitoraggi per verificare il livello di popolazione dell’insetto scafoideo, causa della malattia e della sua diffusione sul territorio. Queste azioni hanno permesso di contenere in parte il fenomeno, ma serve una strategia nazionale proprio per intervenire sul livello di contagio della fitopatia. Lo stesso deve essere fatto per contenere la diffusione della peronospera, altra fitopatia che dalle nostre parti è sempre stata trattata e quindi per ora è stata contenuta, ma sta dilagando dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Al momento dal Governo sono stati messi a disposizione un milione di euro per i danni alla peronospera per tutto il territorio nazionale e 3,5 milioni su due anni per la flavescenza. Risorse insufficienti per contrastare diffusione e indennizzare i danni».

L’industria vitivinicola italiana, e in generale europea, sta attraversando un momento di crisi: il calo della domanda ha portato a una sovrapproduzione, a un forte calo dei prezzi e a gravi difficoltà finanziarie per un produttore su tre. Che cosa ne pensa?

«Servono politiche nazionali che mettano i cittadini nelle condizioni di poter contare su un reddito meno volatile, capace di garantire più sicurezza economica e sociale. Se parliamo di vino, c’è bisogno di una strategia nazionale per dare ossigeno anche a questo specifico mercato. C’è stato un evidente calo dei consumi dovuto anche alle crisi congiunturali post covid, agli effetti economici internazionali che hanno portato a una flessione negli acquisti per un prodotto che non è considerato “primario” nel paniere alimentare. A incidere c’è anche l’aumento delle giacenze nelle cantine, che nel tempo ha contributo ad incrementare presso le aziende l’effetto della contrazione. Oltre alle risorse regionali già citate, serve un intervento di supporto nazionale che dia respiro alle imprese e ne garantisca il reddito».  

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