Gazzetta di Reggio

Reggio

L’intervista

«Mio figlio non è uno stupratore». Parla la mamma di Manolo Portanova

Giuseppe Galli
«Mio figlio non è uno stupratore». Parla la mamma di Manolo Portanova

Antonia Langella accusa la ragazza, che secondo il giudice di primo grado è stata stata stuprata, di mentire. E si dice fiduciosa che la giustizia farà il suo corso.

9 MINUTI DI LETTURA





Reggio Emilia Parla per la prima volta la madre di Manolo Portanova, il calciatore condannato per stupro la cui vicenda sta dividendo le coscienze. Così come abbiamo riportato con larghezza le ragioni della vittima solo pochi giorni fa, ci è sembrato doveroso dar conto della posizione della famiglia del calciatore. È un’intervista che offriamo al discorso pubblico e da cui ciascuno può trarre le proprie valutazioni, di assenso o di critica. (c.m.)

Come sta vivendo Antonia Langella, madre di Manolo Portanova, questa grave vicenda che, da più di due anni, coinvolge suo figlio e rischia di comprometterne la carriera e gli anni più belli e spensierati della sua vita?

«Sto vivendo questi anni come una qualsiasi madre che veda il figlio coinvolto in una vicenda che non gli appartiene. È cresciuto in una famiglia che gli ha trasmesso valori importanti, tra cui sicuramente il rispetto, soprattutto per le donne. Da madre conosco i sacrifici che Manolo ha fatto per raggiungere il calcio professionistico, per raggiungere il suo sogno e non merita di vivere tutto questo».

Secondo lei, Manolo è innocente? 

«Come ho detto, Manolo è un ragazzo con sani principi. Non lo dico solo io che sono la madre, ma credo che qualsiasi persona che l’abbia conosciuto o abbia avuto occasione di parlarci anche per pochi minuti lo confermerebbe. Per cui sì, è innocente, ma non secondo me, è innocente in assoluto».

Come spiega, allora, quella condanna a sei anni di carcere?

«Premesso che credo nella giustizia, e sono certa che la verità è sempre destinata ad uscire, come è ormai noto, la difesa di Manolo ha presentato tantissimi elementi di prova a sostegno della sua innocenza che, se letti con serenità, avrebbero portato sicuramente a un esito completamente diverso. Purtroppo di tutti questi elementi, nella motivazione della sentenza, non c’è traccia, come se il giudice non li avesse nemmeno presi in considerazione. Tra le tante cose scritte e dette sulla vicenda processuale, sarebbe opportuno anche informare le persone del fatto che un giudice, secondo la legge, deve dare conto nella motivazione anche degli argomenti difensivi. La stessa Cassazione ha affermato che in mancanza, una sentenza è nulla. Non so la ragione per cui ciò sia stato fatto, ma lo è stato e questo è grave e inaccettabile in un Paese dove esistono garanzie per i cittadini».

Da donna, cosa pensa di ciò che è successo in quella maledetta stanza?

«Sarò molto sintetica in questa risposta, ho visto i video di quello che è accaduto in quella stanza, e da donna ho motivo di ritenere che in quella stanza non sia avvenuta alcuna violenza».

Cosa avrebbe dovuto fare, suo figlio, per non farsi coinvolgere in questa vicenda? Mi spiego: secondo lei Manolo ha sbagliato a rimanere lì?

«Purtroppo è facile parlare a posteriori, conoscendo quello che poi ne è seguito. Di certo si può trarre un insegnamento: al mondo d’oggi occorre prestare tantissima attenzione alle persone che si hanno intorno, perché in tante purtroppo alla distanza si rivelano ben diverse da come apparivano in un primo momento».

So che non vuole parlare di quella ragazza. Ma una domanda gliela voglio fare. Lei, da mamma e da donna, se davvero pensa che la ragazza fosse consenziente e che suo figlio sia innocente, cosa vorrebbe dirle?

«Credo che prima ancora delle mie parole, dovrebbe ascoltare la propria coscienza».

Secondo lei, cosa c’è dietro questa denuncia che ha portato alla condanna di suo figlio Manolo?

«Non si dovrebbe fare, ma me lo conceda, le risponderò con una domanda. Ha mai visto altre donne, vittime di violenza, rilasciare ripetutamente interviste agli organi di stampa, portandole a rivivere ripetutamente, in questo modo, quanto subìto? Da parte della ragazza, viene accusato Manolo di un continuo parlare alla stampa riguardo la vicenda; ma piuttosto contatemi le interviste rilasciate da mio figlio e confrontatele con quelle della ragazza. Appare quanto meno contraddittoria questa condotta, anche paragonata a quella di tutte le altre vittime di casi mediatici come quello di mio figlio, rimaste defilate e in silenzio».

A Manolo, invece, cosa vuole dire? Come fa a tenere alto il morale del suo ragazzo e fare sì che riesca ad andare avanti, come sta cercando di fare?

«Manolo sta dimostrando una forza caratteriale fuori dal comune. Si è trovato dentro una vicenda che non gli appartiene, ha subìto un clamore mediatico che avrebbe steso chiunque trovandosi a essere oggetto di critiche, spesso anche violente. A Manolo mi sento di dire che sono orgogliosa di come sta reagendo davanti a tutto questo. A farlo andare avanti è unicamente la forza di chi sa di essere innocente».

Osannato dai tifosi per quello che fa in campo, bersaglio all’esterno per quella condanna per stupro di gruppo, una grave macchia nella vita di un ragazzo di 23 anni. Dalla posizione privilegiata, ci dica come sta Manolo e come lui sta vivendo tutto ciò.

«Questa domanda mi impone di fare una premessa e di ringraziare la società calcistica Reggiana. Sicuramente per aver creduto – sportivamente parlando – in mio figlio, ma soprattutto per essere stata capace di andare oltre a ciò che si leggeva sui giornali e a ciò che poteva pensare parte dell’opinione pubblica, e di aver molto semplicemente applicato le leggi e quelli che sono i valori fondamentali della nostra società civile, ovvero il principio di presunzione di innocenza e il diritto al lavoro. E hanno voluto leggere la sentenza e l’appello: dal confronto hanno capito dove stava la verità. Questo ha concesso di restituire a Manolo ciò che ingiustamente gli era stato tolto fino a quel momento e di poter tornare a fare, confidando nella giustizia, quello per cui è nato, cioè giocare a calcio. Tutto questo è stato fondamentale per lui e gli ha sicuramente dato maggiore fiducia nel credere che pur tra tante sofferenze, prima o poi, quest’incubo finirà».

Pochi giorni fa, su Instagram, Manolo ha scritto che sta “subendo un’ingiustizia”. Cosa ne pensa? 

«Non posso dargli torto. Rispondo con piacere alle vostre domande, ma consentitemi di rivolgerne alcune anche io. Come si può credere a una ragazza che dapprima sostiene di non aver espresso alcun dissenso, poi a distanza di tempo e dopo tredici mesi di istruttoria, cambia versione dei fatti? Che invece di dare con la propria voce libero sfogo a una violenza che sostiene di aver subìto, non usa proprie parole autentiche ma copia e incolla il dolore subito da un’altra ragazza americana? Che in quegli stessi giorni parlava di un ricatto a un altro personaggio famoso (un componente dei Maneskin?) Che dichiara di non essere stata a conoscenza circa la professione di Manolo e di non averne di conseguenza alcun tipo di interesse da trarne, quando in rubrica invece era segnato come “calciatore” e sapeva che giocava allora nella Juve? Quando le viene suggerito di non cancellare messaggi dal proprio telefono, e invece puntualmente ne vengono eliminati cercando anche di non farlo vedere? Credo che subire una sentenza che, a fronte di tutte queste domande, non si ponga il minimo dubbio di come realmente possano essere andate le cose, sì, non può che definirsi una ingiustizia».

Per tante persone e tanti processi, dopo la sentenza i riflettori si spengono. Manolo al contrario, ogni giorno finisce al centro dell’opinione pubblica, bersaglio di qualcuno, in particolare donne. Come lei. Che effetto le fa? 

«Sono prima di tutto una donna anche io, e come tale non posso che essere fermamente contro le violenze che in determinate circostanze subiamo. Credo che tante organizzazioni, pur professandosi femministe e contrarie alla violenza di genere, siano piuttosto attente a cavalcare la vicenda di Manolo per raccoglierne visibilità. Se si volesse realmente tutelare le donne, occorrerebbe avere il coraggio di sostenere la giustizia in tutti i suoi procedimenti e di pretenderne l’imparzialità e l’efficienza. L’ipocrisia di volersi schierare a priori come portavoce dei diritti femminili è un cambiamento culturale che andrebbe percorso, per garantire una società realmente giusta ma soprattutto per sostenere le reali vittime di violenze. Ci sono purtroppo tanti casi di reali violenze accertate, anche nella stessa Reggio Emilia, delle quali però non sento mai parlare. Allora il sospetto che non si sia tanto a favore delle donne quanto piuttosto contro Manolo Portanova, onestamente diventa legittimo».

Sabato scorso, dopo il gol di Manolo, il giornalista che stava facendo la radiocronaca ha detto che quel gol metteva a tacere le polemiche... Poi, rendendosi conto della gravità di quello che aveva detto, si è scusato. In realtà, al di là di quello che ha detto il giornalista e delle possibili conseguenze, ha riacceso il caso. Sarà così dopo ogni gol, secondo lei?

«Mi auguro che si possa avere la capacità e la serietà di mantenere distinti i due aspetti. Le vicende sportive di Manolo sono una cosa, ed è corretto dare il giusto spazio, che sia per un gol fatto o uno sbagliato. Potrà anche essere criticato, sportivamente parlando, quando sbaglierà una partita. Ma le vicende processuali sono una cosa ben diversa, che competono ai tribunali e ai giudici, non ai giornalisti sportivi. Occorrerebbe prendere da esempio la maggior parte, per fortuna, dei tifosi della Reggiana: hanno avuto il buon senso di scindere i due aspetti e, in quanto tifosi appunto, di prendere in considerazione le qualità sportive del giocatore, lasciando questioni di altra natura alle sedi competenti».

L’accusa che muovono a chi sta facendo giocare Portanova è che non si può avere in campo un calciatore, modello per tanti ragazzini, condannato a sei anni per stupro di gruppo. Cosa ne pensa?

«È una accusa infondata. Ci si dimentica sempre che chi sta facendo giocare Portanova, in realtà, lo sta facendo nel più assoluto rispetto del nostro ordinamento giuridico e dei valori cardini della nostra società. Per la giustizia ordinaria e per la giustizia sportiva, mio figlio ha il pieno diritto a svolgere la sua professione di calciatore. In uno Stato di diritto, questa è l’unica cosa che conta. Rigiro come provocazione la domanda: in caso di assoluzione, cosa diremo sul fatto di aver impedito a un giovane calciatore di poter portare avanti la propria carriera professionistica? O magari, non può essere l’esempio di una persona che pur subendo un’ingiustizia, nonostante tutto non si lascia abbattere e va avanti a testa alta?».

Non dimentichiamo, però, che si tratta di una sentenza di primo grado.

«...e che la stessa Costituzione riconosce, come detto, il principio di presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva. Tre gradi di giudizio sono una garanzia imprescindibile a tutela delle persone, dato che esiste un margine di errore nelle sentenze di primo grado che l’appello e il ricorso in Cassazione hanno il compito di individuare e correggere. Purtroppo da parte di certe persone, sin dal primo istante, è stata emessa una sentenza di condanna non solo preventiva ma anche definitiva ancor prima che la giustizia possa fare il suo corso».

Crede che il processo d’appello possa ribaltare questa sentenza?

«Credo che se si vorranno leggere le carte processuali con meticolosità e senza pregiudizio, allora l’esito dovrà necessariamente essere diverso».

Cosa glielo fa pensare? 

«Non lo penso, lo leggo da tutte le prove che abbiamo presentato. Non chiediamo altro se non che vengano lette e analizzate con la dovuta cura».