«Un confronto sul caso Portanova» Nondasola lo chiede al tifo granata
Le operatrici del Centro Antiviolenza: «Vogliamo dialogare, non insegnare»
Chiara Cabassa
Reggio Emilia Prima il sit-in organizzato in piazza Prampolini il 21 luglio. Poi la protesta durante l’allenamento della Reggiana ai campi di via Agosti il 1° agosto con l’eloquente striscione “Stupratori in campo non ne vogliamo”. I primi due gol segnati domenica scorsa a Fiorenzuola. La città divisa. La tifoseria che a sua volta perde pezzi. E il Centro Antiviolenza Nondasola che, mettendo un punto e a capo, chiede un confronto su Manolo Portanova, il calciatore in prestito alla Reggiana condannato in primo grado a 6 anni per stupro di gruppo. A chi si rivolge Nondasola? «Ai tifosi e alle tifose, anche quelli delle Teste Quadre».
«Molte diverse posizioni – viene sottolineato dall’associazione – si sono espresse in città a partire dal giocatore Portanova neo-tesserato dalla Reggiana –. Un dibattito suscitato dalla protesta di una tifosa che a seguito dell’ingaggio del giocatore ha chiesto la restituzione del denaro speso per l’abbonamento. Sappiamo di molti altri tifosi che hanno espresso la loro contrarietà; alcuni il loro disagio; altri hanno invece sostenuto la decisione della società». E ancora: «Ci preme dire che non vediamo alcuna tifoseria come nemica: quella del nemico è una logica che non ci appartiene. Crediamo anzi nel conflitto come antidoto alla violenza, purché sia vissuto in maniera leale». E proprio per questo motivo «invitiamo i tifosi e le tifose, anche le Teste Quadre, a un confronto con noi operatrici del Centro Antiviolenza. L’intenzione non è quella di insegnare, quanto di mettere al centro le motivazioni reciproche, l’incomprensione che sta dividendo la città ma anche i tifosi».
L’associazione, mettendo da parte pregiudizi e luoghi comuni, ma consapevole della propria profonda conoscenza di una materia così scottante e urgente, sa bene come affrontare il dialogo. «La parte che spetta a noi, come associazione Nondasola, in questo confronto, è l’esperienza di come si sopravvive alla violenza, fisica, sessuale, psicologica. Ci è stata raccontata da chi l’ha subita da quando il Centro è stato aperto. Da lì viene anche il nostro lavoro di prevenzione, che non consiste nell’insegnare a ragazzi e ragazze cos’è la violenza, ma in un dialogo franco su ciò che loro vedono e noi non vediamo, su ciò che noi vediamo e loro non vedono. Abbiamo fiducia nel fatto che solo fermandosi insieme a ragionarci sopra certi nodi possano allentarsi, a volte sciogliersi. È così che le cose cambiano. È così che il marchio infame della violenza sulle donne va lentamente sbiadendo dalla cultura e dalla società in cui viviamo, tutte e tutti insieme. Raccomandare alle nostre figlie di stare attente a dove vanno non sarà mai abbastanza finché i figli maschi non saranno più consapevoli».
«In attesa di una risposta da parte del tifo – così si conclude l’invito al dialogo – continueremo a esprimerci pubblicamente sui temi sollevati da questo ingaggio. Continueremo a battere come l'acqua sulla roccia. È quello che facciamo ogni giorno, da 26 anni».