Da Catania a Reggio Emilia su una 500 che al Nobili diventerà elettrica
L’idea nasce da un gruppo di docenti dei tre corsi serali attivi tra Iti e Ipsia. «Così vogliamo pubblicizzare una offerta formativa che in pochi conoscono»
Reggio Emilia Da Catania a Reggio Emilia, al volante di una Fiat 500 immatricolata nel 1969... senza aspettare che veda la luce il ponte sullo Stretto.
È la prossima avventura di Zeno Panarari, 56 anni, ingegnere e insegnante, già progettista e costruttore di fat-bike elettriche (le bici elettriche più usate dai rider), e ora pronto a portare a Reggio la vecchia auto di un collega insegnante siciliano, con un obiettivo più ambizioso ancora dello stesso avventuroso viaggio che inizierà giovedì prossimo. Zeno Panarari vuole elettrificare la vecchia 500. E vuole farlo con i suoi studenti del corso serale.
«L’idea – racconta – è nata durante una cena con alcuni colleghi che con me insegnano al “Serale”: un mio collega ha confessato il desiderio di liberare il garage dove oggi riposa la piccola utilitaria e, complice una buona grigliata tra amici è nata questa idea. Con l’obiettivo di pubblicizzare, con il viaggio, anche il nostro lavoro di insegnanti e soprattutto il valore, ancora oggi attualissimo, di questi corsi serali».
Il viaggio e il progetto
Giovedì, l’ingegner Panarari raggiungerà Catania in aereo e da lì, svuoterà il garage del collega salendo sulla 500 bianca. «Dieci giorni di slow trip, niente autostrada e una velocità di crociera sui 40 chilometri orari. «Io mi incarico di portare la 500 a Reggio facendo esclusivamente strade normali e facendo scalo tra vari altri colleghi che passano le ferie in giro per l’Italia».
Catania, la costa ionica della Calabria, Matera, Irpinia, Sannio, Molise, poi Viterbo, Saturnia, Lucca, la Garfagnana e alla fine Reggio Emilia.
1.752 km di strade normali (stando a google maps).
45 ore di viaggio (a 40 chilometri orari di media).
10 giorni di slow trip
Un viaggio culturale, gastronomico e paesaggistico tra alcune delle perle del Belpaese. «Il viaggio – spiega Panarari – è organizzato sulle località in cui i miei colleghi stanno trascorrendo le vacanze: una volta raggiunto il Continente, la costa ionica della Calabria, Matera, poi l’Irpinia, il Sannio e il Molise, fino ad arrivare a Viterbo, quindi Saturnia, Lucca, la Garfagnana e alla fine Reggio. Google Maps mi dice che sono 1.752 chilometri e il mio obiettivo è di tenere una media di 40 chilometri orari, che significa 40/50 ore di viaggio divise in una decina di giorni. I vetri dei finestrini si abbassano e si alzano, i deflettori funzionano. Eppoi – sorride – sono socio Aci..».
Un viaggio che per come è nato e per come si svilupperà non può non può non contare su un diario di bordo. «Con i miei colleghi che insegnano informatica – spiega – stiamo allestendo una pagina Instagram che si chiamerà proprio “La500 del serale”». Anche perché quando l’utilitaria arriverà a Reggio, l’avventura sarà soltanto all’inizio e i social, insieme ad altre possibili iniziative pubblicitarie, serviranno per reperire sponsorizzazioni e sovvenzioni per l’idea didattica di questi insegnanti reggiani: trasformare la più storica delle utilitarie italiane in un’auto con un’anima nuova, moderna, green. E farlo assieme agli studenti forse più motivati che oggi si possono trovare nella scuola italiana.
Questione di sopravvivenza
È una questione di orgoglio, di amore e passione per il lavoro di insegnanti, altro diamante prezioso da preservare quando si parla di scuola italiana. Ma non solo: pubblicizzare i corsi serali attivi all’Ipsia e all’Iti di Reggio, una realtà unica per i due principali istituti cittadini, significa anche fare il possibile perché questi corsi non chiudano. I numeri, da un po’ di tempo a questa parte, sono impietosi: «Attualmente – spiega Panarari – abbiamo 20 studenti spalmati sui tre corsi Ipsia “assistenza Tecnica”, Iti “Meccatronica” ed Iti “Elettrotecnica”. E la tendenza è in calo. Anche perché, purtroppo, di questi corsi in pochi conoscono l’esistenza, in tanti pensano che siano corsi a pagamento, e invece si tratta di una scuola pubblica, e come tale pressoché gratuita se escludiamo poche decine di euro di tasse a tutti gli effetti. Il diploma di chi esce dai nostri corsi è un diploma in tutto e per tutto uguale a quello dei corsi diurni». I corsi del Serale del “Nobili”, come i corsi serali in tutta Italia, hanno pagato un prezzo altissimo durante la pandemia.
«Alla riapertura post-Covid – sottolinea Panarari – in altre province vicine alcune serali hanno dovuto chiudere i battenti per mancanza di iscrizioni. E a mio avviso questo è anche dovuto alla poca pubblicità che si dà alla cosa. Un paradosso, se vogliamo, perché siamo nella patria della Meccatronica, e periodicamente dobbiamo fare i conti con la cosiddetta formazione professionale continua. Che è quello che al Nobili noi facciamo ogni sera».
Dignità e voglia di riscatto
Invero, uno dei motivi per cui sarebbe un delitto chiudere anche a Reggio questi corsi, è il lato umano di queste lezioni. Sono gli occhi di questi studenti, magari stanchi ma comunque svegli, perché desiderosi di un riscatto. Negli ultimi anni l’età media si è abbassata e in parte si tratta di persone che, dopo aver abbandonato gli studi prematuramente e dopo diverse esperienze lavorative decidono di ritornare sui libri per prendere finalmente il benedetto “pezzo di carta”.
«Alcune storie – spiega Panarari – ti toccano nel profondo. Penso a una ragazza che era nazionale di volley nella sua nazione, le Filippine, e grazie a queste sue doti sportive, aveva ottenuto una borsa di studio. Poi, arrivata in Italia lavora otto ore in un ristorante e la sera è al primo banco, decisa a prendere il diploma che forse potrà permetterle di cambiare vita. Si diplomerà il prossimo anno».
Il valore aggiunto di questa scuola serale, forse è proprio questo. Forse sta proprio nella determinazione e nel desiderio di riscatto di queste persone. «A volte – spiega Panarari – quasi mi commuovo quando li vedo arrivare, con ai piedi ancora le scarpe antinfortunistiche e gli occhi che sognano un letto dopo otto ore o più di lavoro, in cantiere, in fabbrica, nei campi. La loro stanchezza però è solo fisica, perché è molto più forte la determinazione a raggiungere l’obiettivo».l
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