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Francesco Grandi Aracri, i giudici: «’Ndranghetista per scelta di vita»

Ambra Prati
Francesco Grandi Aracri, i giudici: «’Ndranghetista per scelta di vita»

Prosegue il processo a Reggio Emilia, sugli assolti Omar Costi e Luigi Cagossi: «Solo elementi indiziari»

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Reggio Emilia «L’imputato ha dimostrato che essere ’ndranghetista è per lui qualcosa di irrinunciabile, una vera e propria scelta di vita». Così viene definito Francesco Grande Aracri, 68 anni, residente a Brescello dal 1988 e fratello del boss Nicolino di Cutro. Sono state depositate ieri le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Grimilde, emessa il 15 dicembre 2022 in tribunale a Reggio dal collegio presieduto da Donatella Bove (a latere Silvia Guareschi e Matteo Gambarati).

A dicembre i giudici erano usciti con un dispositivo pieno di distinguo tra i 16 imputati, accusati a vario titolo di trasferimento fraudolento di valori, intestazioni fittizie, furto, truffa, usura. Era finita con una stangata per i due imputati principali (19 anni e 6 mesi al padre Francesco Grande Aracri e 12 anni e 2 mesi al figlio Paolo, per i quali aveva retto l’associazione a delinquere di stampo mafioso), 9 condanne sgonfiatesi e 5 assoluzioni: tra queste, a sorpresa, i reggiani Omar Costi e Luigi Cagossi.

Costi e Cagossi erano imputati in concorso per il medesimo episodio di usura con l’aggravante del metodo mafioso ai danni di una coppia: il pm della Dda Beatrice Ronchi aveva proposto ben 9 nove anni ciascuno. A inguaiare i due una serie di assegni, manovrati nell’ombra da Antonio Silipo. Su entrambi secondo i giudici sono stati presentati «elementi indiziari, poiché le persone offese vittime di usura ebbero contatti solo con Silipo».

La donna ha negato di conoscerli: «Io non so neanche chi siano questi qua sinceramente». Il marito parlava con Silipo, ma dall’indagine «non risultano intercettazioni rilevanti tra Silipo e Costi e tra Silipo e Cagossi». E quindi insufficienza di prove. «La vicenda presenta caratteri molto incerti e gli indizi dell’accusa, pur presenti in forma plurale, non sono tutti contraddistinti da gravità e univoca concordanza».

Le motivazioni si soffermano poi sul bilanciamento di pesi e contrappesi che hanno portato al calcolo finale per i Grande Aracri. A Francesco è stata applicata la recidiva specifica infraquinquennale, l’aggravante dell’associazione mafiosa, l’aggravante della legge antimafia del 6 settembre 2011 più ogni reato fine: il massimo. Così la pena base di 12 anni è lievitata. Secondo i giudici «Don Franco» (nei dialoghi captati) «ha perseverato nella partecipazione al sodalizio ’ndranghetistico e nel perseguimento degli scopi associativi». Una partecipazione «dall’ampio lasso temporale, da cui è dipeso un elevatissimo pericolo per l’ordine pubblico, per la libertà di iniziativa economica del territorio, per l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione nonché per la libertà di voto nel Comune di Brescello». La prima condanna nel 2008 «non ha sortito alcun effetto deterrente: egli ha scelto di proseguire nel proprio percorso all’interno della ’ndrangheta manifestando assoluta indifferenza». Non solo. «Ha cercato goffamente di farsi beffe dell’autorità giudiziaria non riuscendoci: i colloqui in carcere con i familiari, durante i quali ha tentato di veicolare informazioni mendaci, sono eloquenti».

Anche per Paolo è stata raggiunta la prova «circa la pericolosità sociale», «il suo stabile coinvolgimento negli interessi della cosca e la sua tendenza a utilizzare sistematicamente l’intimidazione». l