Il tremendo dolore di quell’urlo
La pazzia nei secoli tra arte, scienza e letteratura vista dagli studenti del Russell all’interno del progetto #Fuoriclasse realizzato con la Gazzetta di Reggio
Reggio Emilia Il sonno non è riposo e la notte non è buio: questo è quello che si percepisce dalla "Notte Stellata" Vincent Van Gogh. Più precisamente, scrisse in una lettera al fratello Theo: «Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno», parole forti che precedono la creazione di un’opera che diventerà un simbolo della cultura visiva occidentale.
Il quadro riesce infatti a trasmettere intatto il silenzio caotico che doveva circondare il pittore in quella notte magica, diventando specchio per la sua anima che unisce sogno e realtà.
Questo quadro esprime lo stato d’animo del pittore, un uomo turbato e chiuso dalla depressione: quando si parla genericamente della follia di Van Gogh e della sua eccentricità, si dovrebbe andare cauti e usare dei termini non solo più precisi ma anche più rispettosi.
Una realtà molto simile a quella di Antonio Ligabue, in quanto, in vita, visse grandi disagi economici, fisici e psichici. Anche in questo caso nei suoi quadri troviamo le emozioni che l’artista non riusciva a esprimere a parole. Una serie di quadri venduti per un piatto di minestra ma che adesso sono considerati capolavori. Nella contemporaneità la critica e gli esperti dichiarano infatti l’originalità del pittore : «Finalmente daremo a Ligabue la dignità che merita». L’ultimo film realizzato sulla vita di Ligabue, ovvero “Volevo nascondermi”, è un’ottima immagine di come doveva essere dura e sofferrta la vita dell’artista, costretto a una vita essenzialmente vagabonda nella golena del Po.
Un altro dei tanti manifesti visivi che narrano le crisi interiori di persone sensibili e cosiddette folli è senz’altro il famoso quadro di Edvard Munch, “L’urlo”. Conosciuto praticamente in tutto il mondo, nasce da un dolore lancinante di una crisi psichica del pittore descritta da lui stesso: «I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura».
Per riuscire a rappresentare un’angoscia così viva, Edvard dipinse ben quattro versioni dello stesso quadro, di cui l’ultima risulta essere la più completa.
La storia del quadro si lega intrinsecamente a quella del suo autore: Edvard Munch, vissuto a cavallo tra il 1863 e il 1944. Una vita contraddistinta da un persistente malessere interiore, sfociato anche in periodi bui e di depressione, che lo portarono a periodi di isolamento volontario da ogni cosa o ad abusi di alcool. Importante notare che però “L’urlo” non rappresenta un malessere del singolo, provato esclusivamente dall’autore, ma si fa portavoce di una crisi sociale e collettiva molto presente e diffusa in tutta Europa: è un quadro che racchiude in sé i sentimenti di un’intera umanità. Molti altri artisti hanno trovato nell’arte la loro via per sfuggire dalla realtà, per cercare un riparo da una società spesso dura e sorda alle grida di aiuto di persone sofferenti; ricordiamo, infatti, come nel periodo a cavallo del ‘900, fino alla seconda metà del XX secolo, i “diversi” erano tenuti lontani e nascosti dalla vita sociale.
Tra questi vi sono artisti: Vincenzo Gemito, artista napoletano che ha sofferto di gravi crisi di nervi che l’hanno portato ai limiti della società, o Giacomo Balla, precursore del futurismo, che ha rappresentato in “La pazza” la realtà individuale della follia. Una presa di coscienza della società incombente verso questo enigma umano.
Edoardo Boschini
Davide Gandellini
Aurora Pacchioni classe 4C
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