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Sarcone, definitiva la confisca

Ambra Prati
Sarcone, definitiva la confisca

La Cassazione ha respinto i ricorsi di fratelli e sorella di Nicolino e di quattro parenti Il patrimonio da 8 milioni di euro passa allo Stato: gli enti locali potranno richiederli

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Reggio Emilia «Manifestamente infondato». Con questo refrain la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dalla difesa dei fratelli Sarcone (tranne la figura apicale di Nicolino): Gianluigi, Carmine, Giuseppina e Giuseppe Sarcone Grande, più altri quattro familiari (moglie e due figli di Giuseppe Sarcone Grande e la convivente bulgara di Gianluigi Sarcone).

Resta quindi nelle mani dello Stato il tesoretto della famiglia Sarcone, considerata il braccio destro nel Reggiano della cosca Grande Aracri di Cutro: beni mobili e immobili per un valore di otto milioni di euro. A questo punto la confisca diventa definitiva: il passo successivo sarà l’inserimento dei beni nell’Anbsc, l’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Basterà attendere i tempi tecnici e gli enti locali potranno richiedere la gestione degli immobili.

Si tratta di ricchezze finite sotto sequestro in diverse tranche: il 22 settembre e il 15 ottobre 2014, il 7 agosto e il 10 dicembre 2015 e ancora il 18 giugno 2018, in epoca successiva un edificio a Bibbiano, 78mila euro in una cassetta di sicurezza, un immobile a Cutro.

Contro il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Bologna che, il 13 aprile 2021, confermava il sequestro disposto dal tribunale di Reggio Emilia il 13 gennaio 2020, hanno presentato ricorso tutti i Sarcone, adducendo «vizio di violazione di legge» di varia natura: dalla sorella Giuseppina, secondo la quale l’abitazione di Cutro era stata ereditata dal padre, alla convivente bulgara, che si sarebbe comprata una Porsche Cayenne con propri redditi. I difensori di Carmine e Gianluigi Sarcone (avvocato Stefano Vezzadini e Valerio Vianello Accorretti di Roma), hanno presentato articolate obiezioni. La prima sezione della Cassazione (presidente Stefano Mogini), con provvedimento motivato dell’11 ottobre (lo stesso che ha portato alla sorveglianza speciale di Carmine), ha dichiarato «inammissibili i ricorsi» e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, ciascuno, di tremila euro alla Cassa delle Ammende.