Gazzetta di Reggio

Reggio

inchiesta “perseverance” 

Sarcone e Muto si avvalgono della facoltà di non rispondere

E.L.T.
Sarcone e Muto si avvalgono della facoltà di non rispondere

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REGGIO EMILIA. Si sono avvalsi entrambi della facoltà di non rispondere Giuseppe Sarcone Grande (difeso dagli avvocati Luigi Colacino e Giuseppe Migale Ranieri) e Salvatore Muto(difeso dagli avvocati Luigi Comberiati e Vito Villani), entrambi al centro dell’inchiesta “Perseverance” contro la ’ndrangheta in Emilia. Secondo gli inquirenti erano in libertà e operavano in nome e per conto dei capifamiglia finiti in carcere dopo la lunga stagione dell’antimafia al nord esplosa con l’inchiesta Aemilia. Venerdì scorso, però, il 59enne Giuseppe Sarcone da una parte e il 35enne Salvatore Muto dall’altra, sono stati arrestati insieme ad altre sette persone. Un’indagine di polizia e carabinieri sulla ’ndrangheta partita da Modena e Reggio Emilia che ha permesso di rafforzare la conoscenza sull’organizzazione del gruppo emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro, ma operante in autonomia, con «enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile», come hanno sottolineano gli inquirenti, che hanno acceso un faro sugli esponenti di famiglie già colpite dall’operazione Aemilia, storico processo contro la ’ndrangheta in Emilia-Romagna, e che finora erano ancora in libertà. Faro acceso in particolare su Giuseppe Sarcone Grande, fratello di Nicolino, Gianluigi e Carmine, già arrestati e condannati come esponenti della ’ndrangheta emiliana e Salvatore Muto, fratello di Luigi e di Antonio, entrambi condannati anche di recente dalla Corte d’Appello di Bologna, nel processo Aemilia. Rimasto in libertà, avrebbe proseguito l’attività illecita dei fratelli, mettendo tra l’altro in contatto per affari illeciti la cosca emiliana con un’insospettabile coppia di cittadini modenesi «incensurati e spregiudicati».

I reati contestati ai 29 indagati vanno a vario titolo dall’attività di «recupero credito» con modalità estorsive al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di beni o denaro per impedirne l’aggressione delle misure di prevenzione patrimoniali, fino al riciclaggio e al reimpiego di denaro illecito grazie alla complicità di privati e pubblici ufficiali, accusati di falsità ideologica in atto pubblico. —

E.L.T.

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