La mia Reggio Emilia, un difetto e un valore
Il saluto del direttore Stefano Scansani, che ha guidato la Gazzetta di Reggio per quattro anni e nove mesi, e il comunicato dell'editore Gedi News Network S.p.a., nel giorno del passaggio di consegne al Gruppo Sae S.p.a.
Ai lettori, comunicato dell'editore Gedi News Network
Gazzetta di Reggio passa da oggi sotto il controllo del Gruppo Sae (Sapere Aude Editori) S.p.a.
La Gedi News Network S.p.a. ringrazia tutti i giornalisti della testata per il prezioso lavoro svolto in questi anni e augura loro un futuro professionale ricco di soddisfazioni.
Un ringraziamento particolare va al Direttore Stefano Scansani per l’impegno e la grande professionalità che hanno caratterizzato il suo mandato.
Il saluto del direttore Stefano Scansani
Cambia l’editore della Gazzetta di Reggio. Cambia il direttore. E Reggio Emilia cambia? Prima di salutarvi, mi piace raccontare questo luogo, la sua gente, il nostro lavoro al sesto piano della torre di via Pansa 55/i, sede della redazione. Da qui – quando il cielo lo permette – si avvistano a sud le prime ondulazioni, poi gli Appennini, a nord il Monte Baldo che divide la Lessinia dalla Prealpi lombarde.
Quello reggiano è un lungo corridoio longitudinale, dove però tutto scorre nella pancia della sua larghezza, assecondando la via Emilia e la sua obliquità. Dentro al catino – sempre dalla torre della Gazzetta – si scorgono le strade, la tangenziale, l’Autosole, le ferrovie, la Mediopadana, i ponti di Calatrava, il Mapei Stadium, le fabbriche, gli edifici in Reggio Style un po’ Berlino anni Sessanta, mattoni faccia a vista e cemento, e una distesa di chiome d’alberi.
Reggio Emilia per essere compresa pretende un’immersione, perché è unica, davvero. Qui la gente e la sua storia sono riuscite a fondere insieme un difetto e un valore, contrapposti: la cocciutaggine e la libertà, cosicché il blasone “teste quadre” è un segno permanente, anche nella modernità e nella drammaticità del 2020. Anche di auto-assoluzione. Ancora vi sento rispondere: “Siamo fatti così. E lo sappiamo”.
Credo d’aver capito – sono pienamente responsabile del giudizio – qual è il carattere dinamico e frenante della città. La cocciutaggine intesa come pragmatismo, sacra dedizione ai valori della società e del lavoro, che viene smussata dalla vocazione alla libertà (il primo Tricolore, il movimento cooperativo, la Resistenza).
Questa fusion di attributi ha creato il “tipo reggiano”, che non è il Reggio Approach, bensì l’emiliano esuberante ma in formato attenuato rispetto, che ne so, ai vicini modenesi o parmensi. Cioè, i reggiani sarebbero degli emiliani inappagati. I lombardi emiliani.
Da ciò l’insufficiente vigoria e creatività nel pensare in grande, cioè in maniera mediopadana, al di là delle ruggini e concorrenze confinarie estensi o farnesiane. Folklore. Roba vecchia e piccolina. C’è sempre qualcosa che assottiglia e produce attrito nel sognare di Reggio.
Nei miei quattro anni e nove mesi alla Gazzetta ho attraversato l’epilogo della stagione delle cooperative, dal boom al crac. Ho visto la seconda fase della crisi economica. Sono stato testimone della botta assestata alle coscienze da Aemilia: processo che ha messo in guardia su come un territorio tanto ricco (anche di civismo) può essere appestato dalla mafia più sofisticata. E osservo che, purtroppo, al riguardo delle infiltrazioni non tutti i chiaroscuri sono stati dissipati.
Ho misurato le differenze e le contraddizioni fra il capoluogo e la provincia, il dolore della Montagna abbandonata, la vasta impersonalità delle periferie, la Città delle Persone che non è riuscita ancora a suturare gli sbreghi e le voragini di povertà, disagio, criminalità (condizioni diverse, ma assedianti).
Contemporaneamente questa è la città del buon vivere, di tante idealità, idealismi - una volta ideologie - di Reggio Children, della meccatronica e del formaggio più buono che c’è, del potere economico, bancario/finanziario così imponente e rarefatto dall’assumere una divina invisibilità. Questa è la città del laboratorio politico costante. Quel che capita a livello nazionale prima passa nel terreno di coltura di Reggio.
E’ proprio su questo fenomeno che la politica locale, i nostri amministratori, dovrebbero fare i conti e scommettere sul suo primato. Sciogliersi da molte ingessature, uscire dal fortilizio, osare, arrischiare. Quel che si fa qui, capita qui, si risolve qui, si sperimenta qui, è funzionale al Paese.
Ecco perché raccontando Reggio è possibile narrare l’Italia. Ecco perché la Gazzetta non è un giornale di provincia – non è un foglio territoriale del Midwest - ma un quotidiano d’Italia: ogni giorno rappresenta il divenire del conglomerato di città, comuni, feudi, principati, fossi, cime, abissi, famiglie, contrade e grandi imprese che conformano la Nazione. Brano d’Italia, appunto.
Ammetto che la direzione della Gazzetta è stata hard per almeno due motivi. In considerazione della portata e della quantità dei fatti che avvengono nel Reggiano; perché la squadra dei giornalisti che compongono la redazione è altrettanto concreta e sorprendente per caratteri e capacità professionali. I giornalisti della Gazzetta sono la Gazzetta per la loro forza professionale, anche etica. Per quel miracolo, sempre più miracolo in questo nostro mondo, che è quello di raccontare i fatti quotidiani con scrupolo, distacco, precisione. Fedeltà per quella missione atta a pestare i piedi, irritare, disturbare, graffiare anche il più piccolo potere. Missione che dev’essere costante, altrimenti il giornale diventa un’altra cosa (un bollettino, un foglio di servizio, una cantilena addomesticata, l’organo…).
Devo ringraziare la Gazzetta che per la sua età – farà quarant’anni il prossimo marzo – coincide con la mia anzianità lavorativa, e mi ha permesso di essere parte della dimensione di Reggio e dei reggiani. Devo ammettere che qui ho nuotato controcorrente rispetto al flusso dell’esperienza che con gli anni dovrebbe diventare facile, levigata, sciolta. A Reggio si lavora con nervi, testa, muscoli pronti, sempre.
E’ un luogo dove – i colleghi lo sanno dal 1981, quando Umberto Bonafini firmò l’edizione 1 – ogni giorno si potrebbero allestire tre, quattro prime pagine. Tanto la cronaca, le storie, le opinioni sono abbondanti, importanti.
Ringrazio il mio editore, Gedi SpA, per avermi accordato fiducia e garantito la massima libertà.
Consegno al nuovo direttore Giacomo Bedeschi dell’Editore Sae un giornale grande, imbattibile, generoso, che se fosse nato e stampato in Gran Bretagna si chiamerebbe The Mirror of Reggio Emilia, lo Specchio di Reggio Emilia. Trasportatelo bene nella storia futura. E’ alto e fragile.
Care lettrici e cari lettori, auguri. Grazie a ciascuno di voi.