Gazzetta di Reggio

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Alessia, da New York al Santa Maria di Reggio Emilia

di Serena Arbizzi
Alessia, da New York al Santa Maria di Reggio Emilia

La dottoressa Ciarrocchi, dopo 3 anni all’estero, oggi coordina il laboratorio di biologia molecolare dell’ospedale reggiano

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REGGIO EMILIA. Reggio Emilia – New York andata e ritorno per la dottoressa Alessia Ciarrocchi, 41 anni, ricercatrice reggiana e coordinatrice del laboratorio di Biologia molecolare all’Arcispedale Santa Maria Nuova. Ciarrocchi, dopo qualche anno trascorso in uno dei più prestigiosi istituti mondiali per lo studio del cancro, ha deciso di ritornare a Reggio Emilia. Una scelta in controtendenza rispetto ai “cervelli in fuga”, i talenti che fanno la valigia ed emigrano all’estero senza, spesso, fare ritorno. Alessia Ciarrocchi oggi sarà ospite nella trasmissione “Life” su RadioUno, mentre domani alle 8.30 parteciperà a Uno Mattina, in onda su Rai Uno.

Dottoressa Ciarrocchi, solitamente si parla di “cervelli in fuga” verso l’estero. Lei, dopo anni trascorsi a New York, è rientrata in Italia, a Reggio Emilia.

«Ho trascorso un periodo di tre anni a mezzo a New York, al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, un’esperienza molto importante in un centro che rappresenta un cuore pulsante per quanto riguarda la ricerca sul cancro. Si è trattato di un’esperienza estremamente stimolate perché sono entrata in contatto con tanti professionisti provenienti da tutte le parti del mondo e la mia formazione è stata amplificata: ha cambiato il mio modo di fare ricerca aprendo i miei orizzonti. Andare all’estero per il post dottorato è stato un passaggio spontaneo, dopo la laurea e il dottorato di ricerca conseguiti in Italia. Sono rientrata a Reggio Emilia per motivi personali: volevo che le mie figlie – Aurora, 10 anni, nata negli Usa, e Micol, 8 anni, nata a Reggio – crescessero qui perché ritengo che in Italia ci sia ancora una maggiore attenzione all’individuo, un ambiente che protegge le individualità e le differenze, meno competitivo per i bambini che possono così crescere più sereni, oltre al fatto che la qualità di vita in Italia è più piacevole e siamo circondati dai nostri famigliari».

Allo stesso tempo, però, non ha rinunciato al suo lavoro dopo il rientro in Italia.

«Siamo ritornati a metà del 2007. Parlo al plurale perché ho affrontato l’esperienza all’estero insieme a mio marito, che svolge il mio stesso lavoro, attualmente a Bologna, città dove ci siamo conosciuti, in laboratorio. Sì, ho voluto continuare a fare lo stesso lavoro anche qui in Italia. Io lavoro nel Laboratorio di Ricerca Traslazionale dell’Arcispedale Santa Maria Nuova. Il nostro laboratorio è un unità importante dell’istituto di ricerca e lavoriamo in stretta collaborazione con i medici compresi con quelli che operano nel Core. La nostra speranza, infatti, è quella di poter aiutare i clinici a rispondere al meglio alle domande non ancora risolte. Il nostro obiettivo consiste nell’effettuare analisi di profili genetici e molecolari per cercare di capire i meccanismi alla base dei tumori e della loro progressione».

Nello specifico in cosa consiste il suo lavoro?

«Nel nostro laboratorio vengono portati avanti tanti progetti diversi, il focus è la ricerca traslazionale, ovvero una ricerca che produca risultati che siano resi disponibili ai pazienti il più velocemente ed efficacemente possibile. Lavoriamo sulle patologie oncologiche, su diversi tipi di tumore e, nel dettaglio, le neoplasie su cui ci stiamo concentrando maggiormente sono: melanoma, tumore della tiroide e del polmone. Un progetto molto importante che stiamo portando avanti, poi, è finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro e si occupa di un aspetto molto innovativo come la funzione del genoma non codificante. Molto di quello che sappiamo sulla genetica dei tumori riguarda la funzione o l’alterazione dei geni. I geni sono la parte più importante del nostro genoma perché codificano per le proteine che a loro volta eseguono tutte le funzioni alla base della vita. Oggi sappiamo che i geni occupano soltanto l’1 -2% dell’intero genoma. Il rimanente 98% è rappresentato dal cosiddetto genoma non codificante che però svolge funzioni biologiche fondamentali che sono ancora in larga parte da capire».

In cosa consiste il progetto finanziato da Airc che state seguendo?

«Il progetto si propone proprio di capire che cosa fa il genoma non codificante e come questo possa intervenire nella progressione dei tumori. In particolare abbiamo identificato alcune regioni di genoma non codificante che sono importanti perché regolano l’espressione di un oncogene che è fondamentale per sostenere la cellula tumorale e favorire la progressione dei tumori in cui è espresso. L’utilizzo di farmaci in grado di modificare la funzione del genoma non codificante (i cosiddetti farmaci epigenetici) può essere una strategia efficace per spegnere l’espressione di questo oncogene e limitare la crescita delle cellule tumorali» .