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Ndrangheta, l’avvocato di Brescia: "Scrivere è un suo diritto"

Jacopo Della Porta
Ndrangheta, l’avvocato di Brescia: "Scrivere è un suo diritto"

L’avvocato Comberiati è anche il difensore del boss Nicolino Grande Aracri. Il presidente dell’ordine degli avvocati: «Improvvido e imbarazzante»

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REGGIO EMILIA. «Lo dice anche il detto, ambasciator non porta pena. Se un assistito vuole mandare una lettera ha due strade. O la manda con il francobollo, ma arriva dopo sei o sette giorni, o tramite l’avvocato».

E così, per farla arrivare prima, Pasquale Brescia, l’imprenditore arrestato nell’operazione “Aemilia”, l’ha consegnata al suo legale, Luigi Antonio Comberiati, del foro di Bologna, che poi l’ha portata alla redazione del Resto del Carlino.

A spiegarlo è lo stesso “ambasciatore”, l’avvocato crotonese che è anche uno dei difensori del boss Nicolino Grande Aracri, che proprio ieri è stato rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Pesci” della Dda di Brescia, che ha fatto luce sulle attività della cosca in Lombardia e che è andata di pari passi con l’indagine “Aemilia”.

«Sono appena tornato in studio a Reggio dal processo di Brescia. Non ho ancora letto le dichiarazioni - ha detto ieri pomeriggio Comberiati -. Ho ricevuto dei messaggi sul telefono con i titoli dei giornali. Valuteremo con il codifensore di Brescia se e come replicare a quanto è stato detto».

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Il legale non fa valutazioni sul contenuto della lettera, né tanto meno sul fatto che sia stata ritenuta minacciosa, «non ho letto le reazioni», ma sottolinea l’assoluta correttezza del suo operato.

«Nel colloquio con il mio assistito nel carcere della Dozza mi ha dato questa lettera. L’agente di custodia l’ha guardata, io l’ho firmata e l’ho portata dove il mio assistito mi ha indicato con un appunto di portarla. Poi ho appreso che ci sono state delle reazioni a questa lettera, ma come le dicevo ero in udienza e poi in auto e non ho ancora visto nulla. Dunque non so come commentare».

Comberiati, pur non entrando nel merito, non ritiene però che la missiva possa essere considerata minacciosa. «La lettera l’ho aperta e l’ho letta, certamente. Qualcuno si è sentito minacciato? Da chi?». Comunque sia, ribadisce l’avvocato, dal carcere una lettera può uscire senza problemi. «Basta che ci sia l’agente di custodia presente e poi, come dice il detto, ambasciator non porta pena».

Il legale si stupisce che qualcuno possa avanzare dei rilievi sul suo operato. «Quello che non si deve dimenticare è che noi siamo avvocati. L’avvocato patrocina un cliente, noi rispettiamo le regole, soprattutto quelle penitenziarie. Facciamo il nostro lavoro di penalisti come si deve. Quando uno è in carcere può scrivere, anche dai regimi speciali, solo che in quel caso passa dalla censura. Nel regime ordinario (come quello di Brescia, ndr) quando parte una lettera, alla moglie, all’amico, a un giornale, bisogna solo verificare che sia una lettera. Ma non possono leggerla. Anche Sofri da detenuto scriveva per i giornali e credo che anche a voi arrivino delle lettere dai detenuti».

Non tutti i legali valutano però nello stesso modo questa vicenda. Abbiamo chiesto al presidente dell’Ordine degli avvocati di Reggio, Franco Mazza, come giudica il fatto che un avvocato consegni una lettera, che viene poi giudicata minacciosa.

«Quanto meno imbarazzante e improvvido - dice il presidente, senza entrare nel merito della questione particolare -. Se Brescia vuole esprimere un pensiero può farlo ma in questo modo credo non sia utile». Il presidente ritiene che il luogo deputato a questa discussione siano le aule dei tribunali.

«E’ giusto parlare al momento giusto, mentre è discutibile lanciare un messaggio in questo modo». Mazza aggiunge anche di comprendere l’esigenza dei cittadini di voler seguire il processo Aemilia. «Sulla mafia i reggiani hanno diritto di sapere e vogliono controllare di persona».