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Ecco il libro sul dialetto arsan applicato al cibo

di Paolo Cagnan
Ecco il libro sul dialetto arsan applicato al cibo

Nell’anno dell’Expo , Giuliano Bagnoli raccoglie e interpreta i proverbi reggiani: in vendita nelle edicole con la Gazzetta

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REGGIO EMILIA. Giuliano Bagnoli, studioso e grande appassionato del dialetto reggiano (o meglio, dei dialetti reggiani, al plurale) è persona di grande professionalità e simpatia. Passa senza difficoltà da un “italiano colto” al dialetto, mischiandoli nella parlata con rara maestria.

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Insieme, abbiamo presentato poco tempo fa la sua traduzione (termine riduttivo) in dialetto reggiano del “Piccolo Principe” di Saint-Exupery, ma c’era già dell’altro che - letteralmente, visto il tema - bolliva in pentola: questo delizioso libro, che da oggi potrete acquistare nelle edicole assieme alla Gazzetta al prezzo di 9,80 euro.

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L’idea mi era venuta qualche mese fa: tutti parlavano (e parlano ancora) dell’Expo dedicata al cibo: per questo, avevo chiesto all’amico Giuliano di "estrapolare” dalla sua ricca collezione di proverbi e modi di dire alcune espressioni tipiche del dialetto arsan, raccontando il ricchissimo mondo che si celava dietro. Cibo, specialmente qui a Reggio, è tutto.

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E’ fame, è sazietà. E’ occasione per stare insieme. Quella prima pagina pubblicata su queste colonne con una decina di modi di dire era molto piaciuta: da qui, è nata l’idea di un libro che raccogliesse molte più espressioni. Da qui è nato anche il titolo, una “declinazione dialettale” dell’Esposizione universale.

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Edito da Collezioni Reggiane e patrocinato dal Centro studi sul dialetto reggiano, il libro - arricchito da una serie di suggestive immagini d’epoca - contiene un vero e proprio parolario suddiviso per capitoli tematici: dalla spassosissima e boccaccesca “fisiologia della digestione” alla fame, quella vera che i nostri avi hanno davvero patito; dal suo controcanto, ovvero la sazietà, all’epoca - ormai quasi scomparsa? - dei negozi di vicinato.

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«La storia del nostro dialetto - spiega Bagnoli - si innesta nella storia della gente reggiana di pianura e di montagna. Il contatto con Etruschi, che vivevano in queste terre, si è miscelato al sangue celtico, romano, barbarico, bizantino e longobardo».

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La lingua si è trasformata nel corso di secoli, accogliendo nel suo prodigioso alveo tutte le novità esterne, utili per renderla più fluida e viva. Dunque esiste l'equivalenza per la quale un popolo è la sua lingua stessa. Ma un popolo è tale anche in rapporto all'ambiente in cui vive. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:foto-e-video:1.11478490:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/reggio/foto-e-video/2015/05/23/fotogalleria/il-cibo-e-la-convivialita-foto-amarcord-di-fabbrico-a-tavola-1.11478490]]

«Le caratteristiche del terreno e delle stagioni - spiega ancora Bagnoli - hanno determinato le colture, i raccolti e, con essi, i prodotti della cucina. Gli animali selvatici e allevati ne hanno costituito, poi, l'ulteriore e più caratteristico completamento in ambito culinario».

In poche parole, un reggiano non può essere se non quello che è, e questo sia per la lingua dialettale che parla che per i cibi che mangia. Si diceva infatti: pêrla cme t'mâgn - parla come mangi.

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E per i reggiani la cucina è sempre stata qualcosa di importante: il cibo è stato sostegno al duro lavoro dei campi (perché, come si diceva, la terà l'è bâsa - la terra è bassa); il cibo era la letizia della celebrazione delle feste della religione dei padri (si diceva: as mâgna bèin sôl per Nadêl, Pâsqua e per la Sêgra - si mangia bene solo per Natale, Pasqua e per la Sagra); il cibo era l'allegria dei momenti di svago e dei piaceri dell'amicizia (si diceva: al bèver e al bòun magnêr ijn al cundimèint dla bòuna cumpagnîa - il bere ed il ben mangiare sono il condimento della buona compagnia).

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«Dialetto e cibo nella nostra terra - commenta l’autore - sono stati sempre associati così come lo sono stati, nella reggianità, la religiosità e la laicità rispettosa. In questo anno 2015, dominato dall'EXPO incentrato sul valore del cibo, faremo un cammino peregrinante tra i dialetti della terra reggiana alla ricerca dei contatti tra lingua vernacolare, cibo e cucina».

Bagnoli si è preso tutte le libertà del caso: calandosi nei modi di dire, nei proverbi, nelle esclamazioni, stiracchiando fuori dal dimenticatoio del tempo, lemmi e parole delle quali ormai si è perso l'uso o il ricordo. Ma non mancano anche le novità linguistiche dialettali, i neologismi, che estrarremo dalla modernità, legando sempre assieme il lessico vernacolare alle cibarie e all'arte culinaria.

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