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Finito il boom dei bar cinesi a Reggio Emilia: «I giovani non si sacrificano più»

Jacopo Della Porta
Finito il boom dei bar cinesi a Reggio Emilia: «I giovani non si sacrificano più»

Parla l'imprenditore asiatico che da 7 anni gestisce il Bar Duomo in piazza Prampolini: «E' un settore difficile e faticoso»

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REGGIO EMILIA. Uno dei bar acquistati da cinesi più longevi della città è il Bar Duomo della centralissima piazza Prampolini, proprio di fianco al Municipio. Da sette anni il locale è gestito da un imprenditore asiatico di 35 anni che ha saputo mantenere l’impronta italiana del bar, cosa che non stupisce visto che da sempre si fa chiamare Angelo, tanto è la sua volontà di assimilazione. Il titolare è arrivato 18 anni fa dallo Zhejiang, la dinamica provincia da dove vengono quasi tutti i cinesi che vivono in Italia. E a lui abbiamo chiesto come mai il boom cinese è in fase calante.

Angelo, i cinesi che gestiscono attività economiche nel reggiano sono ancora tantissimi, 1.440 a giugno 2015, ma stanno calando. Perché?
«Semplice. Il tessile non va più bene. A Reggio, Modena, Carpi, i laboratori cinesi sono andati in crisi per diversi motivi. Ma le dirò, entro due o tre anni il calo sarà ancora maggiore, io dico che sparirà l’80% delle attività presenti oggi».

Addirittura. Per quale motivo?
«Il primo motivo è che i prezzi che ti pagano sono molto bassi. E dunque non riesci a guadagnare abbastanza. Poi l’altro grande problema rispetto al passato è che non trovi più operai. I giovani cinesi cresciuti in Italia non vogliono sacrificarsi come abbiamo fatto noi. Non vogliono fare lavori faticosi, da 12 - 13 ore al giorno. Preferiscono qualcosa di più leggero. Gli operai che vivono in Cina invece preferiscono restare lì perché stanno molto meglio. Tra l’altro tanti di quelli che vivevano qui se ne sono tornati a casa perché da noi ora le cose vanno bene».

Anni fa c’è stato un boom di bar cinesi. Ora sembra che il fenomeno sia finito...
«E’ stata un po’ una moda a provocare quel boom. Nel tessile non si lavorava più bene come un tempo e allora tanti hanno pensato di aprire un bar e magari credevano che fosse una cosa semplice e poco impegnativa. Ma hanno scoperto che non è affatto così. In questo momento c’è crisi per tutti, per gli italiani e per gli stranieri. E tanti, come le dicevo, sono tornati in Cina».

Lei gestisce questo locale da sette anni. Quali sono le difficoltà di questo settore?
«E’ un settore particolare dove il servizio che offri al cliente è fondamentale, così come la posizione del locale e la qualità di quello che offri. Non è come gestire un laboratorio tessile. Gestire un bar è difficile per tutti, ma per noi cinesi ancora di più. Bisogna acquisire la mentalità giusta, capire l’importanza della qualità del servizio. Per due anni ho fatto molto fatica, non lavoravo. Ora invece le cose vanno bene, nonostante non sia un momento facile in generale».

Qualche pregiudizio da parte dei clienti italiani?
«In centro storico c’è una clientela tradizionale, non è come in periferia. All’inizio non è stato facile proporsi. Comunque i miei dipendenti sono tutti italiani».

Da quanti anni è in Italia?
«Sono qui da 18 anni. Ho lavorato come operaio a Napoli, Prato, Padova. Ho aperto un mio laboratorio di confezioni a Reggio e poi il bar».

Com’è fare l’imprenditore in Italia?
«Difficile. Lavori molto. Tante tasse. E adesso la crisi».

Mai pensato di tornare in Cina?
«E’ il mio sogno, non solo per il lavoro ma per viverci. D’accordo da noi c’è più inquinamento. Ma lì sono a casa».